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L’Italia di Giorgia Meloni è tra due fuochi. Da una parte il pressing dell’Europa sul Mes, dall’altra un Patto di stabilità che non convince del tutto. Specialmente quei Paesi che, come l’Italia, hanno bisogno di investire per crescere. Non una partita facile, eppure bisogna giocare. Formiche.net ne ha parlato con Domenico Lombardi, economista di lungo corso e direttore del Policy Observatory della Luiss.

L’Europa è tornata in pressing sull’Italia, chiedendo la ratifica del Trattato sul Mes. Ma la linea del governo rimane chiara. L’impressione è che si vada allo scontro con l’Ue e con i Paesi che lo hanno già ratificato. Come ne può uscire il governo di Giorgia Meloni?

Il governo Meloni ha dimostrato una postura dialettica, ma non antagonistica, nei confronti della Ue, per cui mi pare assai difficile ipotizzare uno scontro. Semmai, la partita sul Mes verrà inquadrata in quella più ampia che include modifiche al Pnrr e al Patto di stabilità.
È importante, tuttavia, notare che le modifiche al Mes di cui si discute furono concordate dall’allora presidente del Consiglio Conte, ma mai ratificate dal nostro Parlamento. Dal punto di vista della sostanza, poi, sarebbe utile porsi delle domande sulla natura di un’istituzione che dal 2016 non eroga prestiti.

Il Mes non ha convinto più di tanto quando doveva, sta dicendo?

Anche all’apice della pandemia, come si ricorderà, tutti i governi europei, pure di centro sinistra, ne declinarono l’intervento, tra cui sempre lo stesso Conte e il suo ministro Gualtieri dichiarando esplicitamente di non ritenerlo adeguato per l’Italia. Ecco, non vorrei che alla fine il problema del Mes in Europa fosse Giorgia Meloni…

Lombardi, il nuovo Patto di stabilità non sembra accontentare tutti. Italia in primis, che chiedeva lo scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit. Ma allora è solo una nuova austerity o veramente una svolta?

La proposta di riforma della Commissione presentata a novembre è centrata su alcuni principi importanti che occorre salvaguardare nella finalizzazione del documento: l’enfasi su un percorso di aggiustamento fiscale di medio-termine anziché essere declinato anno per anno, una visione olistica e strategica nella valutazione di tale percorso e l’ownership che ciascun Paese deve avere nel formularlo.
L’Italia, fermo restando l’apprezzamento per questo approccio, chiede semplicemente di rafforzare la coerenza con la Nato che chiede maggiori spese per la difesa.

Se ne può parlare a livello europeo, non crede?

Si deve. Roma chiede all’Europa che le risorse per gli investimenti, per lo più a debito, offerte con il NextGenEU siano, almeno in parte, considerate nella valutazione del percorso di aggiustamento. Peraltro mi lasci aggiungere una cosa.

Prego.

In una fase così delicata e strutturalmente incerta, occorre prudenza nell’identificare paletti quantitativi, a maggior ragione se particolarmente stringenti. Cosa ben diversa è la sostenibilità fiscale nel medio periodo che l’Italia vuole per prima, ovviamente.

Il Def, il primo di Giorgia Meloni, è stato definito da più parti prudente e realista negli obiettivi. Troppo? 

Il Def che segue la Legge di Stabilità approvata nei mesi precedenti conferma un approccio particolarmente prudente alla politica fiscale, anche riconosciuto dal Fondo monetario internazionale nella batteria previsionale rilasciata pochi giorni fa. Non è un caso che per attaccare il governo ci si aggrappi a rapporti mal letti di questa o quella banca, di questa o quella società di rating, peraltro decontestualizzandone il contenuto, se non forzandolo apertamente e irresponsabilmente.

Meloni, l'Europa e quei dubbi su Mes e Patto. Parla Lombardi

Intervista all’economista, ​direttore del Policy Observatory della Luiss.​ Dal 2016 nessuno dei Paesi che aderisce al Meccanismo europeo ha chiesto un prestito, neanche durante la pandemia. Sul Patto di stabilità, Roma chiede solo di poter spendere con maggiore libertà e di essere coerente con la Nato. Il Def? Prudente e lo riconosce anche l’Fmi

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