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Gli ultimi progressi dell’intelligenza artificiale potrebbero portare all’automatizzazione di un quarto della forza lavoro negli Stati Uniti e in Europa, facendo perdere l’impiego a circa 300 milioni di lavoratori. È questa la conclusione della ricerca di Goldman Sachs condotta dagli economisti Joseph Briggs e Devesh Kodnani.

Sistemi di intelligenza artificiale, quelli in grado di generare contenuti, possono però anche spingere ad un aumento di circa il 7% del Pil mondiale annuale nell’arco di 10 anni.

Il report, ripreso dal quotidiano Financial Times, indica come tra le professioni a maggior rischio ci sono il personale amministrativo e gli avvocati. La maggior parte delle persone potrà automatizzare almeno la metà del carico di lavoro ed essere in grado di dedicare parte del tempo libero ad altre attività produttive.

“Negli Stati Uniti, questo dovrebbe valere per il 63% della forza lavoro – si legge sul Financial Times -. Un ulteriore 30% che svolge lavori fisici o all’aperto non ne risentirebbe, sebbene il proprio lavoro potrebbe essere suscettibile ad altre forme di automazione”.

Lo studio di Goldman Sachs sostiene che l’intelligenza artificiale ha impatto anche in Europa, “poiché i lavori manuali rappresentano una quota maggiore dell’occupazione nei Paesi in via di sviluppo, si stima che circa un quinto del lavoro potrebbe essere svolto dall’intelligenza artificiale, ovvero circa 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno nelle grandi economie”.

Gli sviluppatori indicavano che l’intelligenza artificiale “sarebbe stata in grado di svolgere compiti come il completamento delle dichiarazioni dei redditi per una piccola impresa; valutazione di un sinistro assicurativo complesso; o documentare i risultati di un’indagine sulla scena del crimine”. Non sarebbe utilizzabile invece in compiti più delicati “come pronunciare una sentenza in tribunale, controllare lo stato di un paziente in terapia intensiva o studiare le leggi fiscali internazionali”. Solo questione di tempo?

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