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Quasi come le febbri stagionali, in Italia si è ricominciato a parlare di riforme costituzionali e di accentramento del potere nelle mani di un presidente eletto direttamente, oppure di un premier.
Il problema però non è la riforma di per sé ma è a cosa essa serve, a cosa deve servire. Per essere precisi, c’è un parallelismo tra evoluzione della struttura politica dell’Italia e dell’Europa negli ultimi settant’anni. La costituzione italiana aveva come scopo di evitare un ritorno di un regime autoritario fascista o comunista che fosse, democratizzare il paese e modernizzarlo. Questi due compiti sono stati raggiunti. Dopo la fine della guerra fredda c’è stata una riforma sostanzialmente costituzionale del sistema di voto. È caduto il veto contro il partito comunista italiano (Pci).

Il Pci ha cambiato nome. Si voleva far fare un passo avanti alla democrazia nazionale introducendo un sistema di alternanza tra destra e sinistra. Poi si voleva dare un’opportunità al Paese di trovare un nuovo spazio internazionale in un mondo senza blocchi divisi.

Questa trasformazione ha funzionato a tratti perché il sistema si è spaccato culturalmente in pro e contro Berlusconi e non è riuscito a definire una sua propria politica internazionale come invece per esempio hanno fatto Germania o Giappone.

Parallelamente anche il mercato comune europeo ha subito evoluzioni analoghe. È stato inventato dagli americani alla fine della seconda guerra mondiale per seppellire odi secolari per esempio tra Francia e Germania e creare un blocco politico economico per contrastare l’avanzata del comunismo sovietico.
Dopo il crollo del muro anche l’Europa ha subito una evoluzione, integrando i paesi dell’est Europa perché consolidassero il loro sviluppo economico e democratico, e rafforzando la propria coesione interna intorno alla moneta unica e a regole di maggiore coerenza economica e finanziaria.
Oggi con la guerra in Ucraina e le nuove frizioni che si aprono in Asia intorno alla Cina naturalmente sia l’Italia che l’Europa sono chiamate a ripensare le norme di governo.

Mario Draghi e Francesco Giavazzi in due interventi hanno aperto la questione dicendo che i vecchi parametri di stabilità di Bilancio nella Ue non possono essere quelli adottati finora. Il periodo è altamente instabile, è tornata l’inflazione, ci sono prospettive molto incerte, quindi il fuoco dell’Europa deve essere la crescita e lo sviluppo, non può essere la semplice riduzione del deficit.
Bisogna agire sulla crescita che gradualmente riduca il debito.

Questo però implica nuove regole di governabilità per l’Europa che l’Europa non può non cercare anche nel rapporto con gli Stati Uniti, che ha sempre accompagnato l’Europa, specie nei momenti cruciali.
Il momento non è facile perché “vendere” politicamente la riduzione del deficit è una misura chiara; agire sulla crescita può essere più difficile e dare risultati più incerti. In questo senso poi le pulsioni nazionaliste all’interno di ogni paese rendono tutto più complicato perché in ciascun paese alcuni partiti radicali cercano di vendere ai propri elettori l’idea semplicistica che una soluzione possa essere trovata in proprio.

L’ipotesi quindi che l’Europa si spacchi in mille frammenti, che il mercato unico venga incrinato e l’euro stesso venga messo in difficoltà non è peregrina. Qui si viene all’Italia. Cosa vuole fare l’Italia in questo contesto internazionale ed europeo? Il punto non è allearsi con altri partiti nazionalisti, o socialisti, a seconda dei gusti, cosa che può funzionare o meno. Ma cosa vuole fare il Paese nella sua interezza, governo e opposizione, perché per le altre due riforme costituzionali ci fu un accordo bipartisan di governo e opposizione per un progetto condiviso. Occorre un progetto per l’Italia.

Per esempio un’idea che potrebbe avere successo è un vasto programma di liberalizzazione e di apertura del mercato italiano al mondo. Questo avrebbe bisogno di un programma di medio lungo termine di riforma della istruzione per avere dei giovani che sappiano di più, e siano più internazionali, cioè che sappiano bene almeno l’inglese. Ci vuole un programma di attrazione dei talenti. Oggi l’Italia esporta i propri talenti all’estero, ma il vero modo per trattenere talenti italiani in Italia è attrarre anche talenti stranieri in Italia. Il mercato della intelligenza italiana deve diventare internazionale perché anche gli italiani rimangano.

In questo senso l’Italia potrebbe diventare il ponte culturale e di mercato tra l’Europa e l’Africa per esempio. Il presidente americano Joseph Biden in India ha parlato di una ferrovia trans africana, perché non trasformarla in un grande asse infrastrutturale che vada da Oslo a Città del Capo?
Così passerebbe per il ponte sullo stretto ma non solo. Ridarebbe centralità politica e di mercato alla Sicilia spostando l’asse dell’Africa verso nord e l’asse europeo verso sud. È un’idea, per non essere semplicemente negativi, ma propositivi. Il parlamento, il governo e l’opposizione potrebbero avere progetti diversi, che li discutano e li portino avanti. Ma è sulla base di questi progetti che va chiesta una riforma costituzionale e di poteri, non il contrario. Se si chiedono poteri solo per il potere è facile che tali afflati risultino vani e non approdino a niente, anzi.

Consigli per una riforma costituzionale che non sia vana. Scrive Sisci

Serve un progetto complessivo sulle riforme, per l’Italia, inserita in un contesto globale in profondo cambiamento. Un’idea che potrebbe avere successo è un vasto programma di liberalizzazione e di apertura del mercato italiano al mondo. Il parlamento, il governo e l’opposizione potrebbero avere progetti diversi, che li discutano e li portino avanti. Ma è sulla base di questi progetti che va chiesta una riforma costituzionale e di poteri, non il contrario

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