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La questione dei problemi a destra per Fratelli d’Italia esiste più nelle speculazioni degli avversari di Giorgia Meloni, sia interni che esterni. Fratelli d’Italia è un partito che, pur avendo pagato lo scotto dell’essere al governo – avendo necessariamente derogato a molte proposte in ambito culturale, economico e, non ultimo, sulla gestione dei migranti – è ancora forte di un consenso robusto. La prova del governo, insomma, la sta superando bene.

La destra “estrema” incalza Meloni? Diciamo che c’è una parte del partito – e anche fuori da FdI, basti pensare ad Alemanno – che ha in mente una destra diversa da quella del premier. E lo si è visto nell’affaire Vannacci. Questo costringe Meloni e alcuni suoi ministri a fare delle concessioni a un certo tipo di visione di “destra sociale”. E lo si è visto ad esempio con l’adozione del provvedimento sugli extra profitti delle banche. Questi tratti emergono, ad esempio, anche in alcune rivendicazioni identitarie che scandisce il ministro Lollobrigida.

Essenzialmente, però, non mi pare che ci sia alcun nemico rilevante a destra. Anche perché FdI sulle questioni fondamentali ha avviato un percorso di moderazione e istituzionalizzazione che sta, in fin dei conti, premiando. Chiaramente l’intento di Meloni  quello di “occupare” tutti gli spazi politici possibili. Tant’è che, ad esempio, ha deciso di abolire il reddito di cittadinanza, che è una scelta molto gradita a buona parte del suo elettorato. Al contempo, ha instaurato un’ottimo rapporto con l’Europa. Ma, ogni tanto, deve fare i conti con le sue origini e pagarne anche il prezzo.

In ultima analisi, ripeto, non penso possa nascere qualcosa a destra di FdI. O per lo meno non credo che, qualora dovesse concretizzarsi qualcosa, possa superare la soglia di sbarramento alle prossime elezioni. L’ipotesi di destra sociale che ha in mente Alemanno e alcuni del suo partito, ripiomberebbe FdI a percentuali al di sotto dei dieci punti. Al contrario, il partito ha allargato la sua base elettorale perché si è reso credibile attraverso un lungo processo di moderazione. Certo, esiste una parte del partito che tenta di condizionarla portandola su posizioni più nazionaliste, protezioniste. Ma non conviene.

D’altra parte, penso che nella postura di Meloni ci sia anche un po’ di strategia. A lei conviene sempre mostrare “due facce”: una più interna che parla alla pancia del partito – anche per evitare la concorrenza a destra e in particolare quella del segretario del Carroccio, Matteo Salvini – e un’altra più istituzionale, sulle questioni strategiche. Il volto più da establishment. In questo modo, ritengo che il partito possa mantenere dimensioni considerevoli sotto il profilo del consenso. E questo, il premier, lo sa.

Caso Vannacci, perché a Meloni conviene la linea della moderazione. Scrive Castellani

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