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La notizia arriva su Facebook: in un post pubblicato in data mercoledì 16 agosto, l’Ufficio Comunicazioni della Presidenza Filippina annuncia la nomina del nuovo Inviato speciale del Presidente presso la Repubblica Popolare Cinese per le questioni speciali. Nessun ulteriore dettaglio viene fornito nel post, ad eccezione del nome del personaggio prescelto. Che non richiede ulteriori spiegazioni.

Classe 1948, già rappresentante per le Filippine presso le Nazioni Unite e segretario degli affari esteri sotto la presidenza di Rodrigo Duterte, attualmente ambasciatore presso il Regno Unito e l’Irlanda del Nord, Teodoro “Teddy Boy” Locsin è un personaggio noto sia dentro che fuori le Filippine. Principalmente per i suoi pochi peli sulla lingua, viste le sue dichiarazioni colorite e gli argomenti sensibili toccati (poco delicatamente) nei suoi discorsi, dall’Olocausto alla condanna di Trump. Ma soprattutto nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, oggetto delle più note uscite del diplomatico filippino.

Nel maggio del 2021, centinaia di navi di Pechino violano i confini della zona economica esclusiva di Manila. Non che fosse la prima volta, e non sarà neanche l’ultima: nei mesi successivi infatti episodi simili continueranno a ripetersi a cadenza costante. Tra le varie voci filippine che attaccano la Cina per questa violazione, quella di Locsin risalta sopra alle altre per la durezza. In un post su Twitter, il ministro degli esteri filippino scrive le seguenti paroleChina, my friend, how politely can I put it? Let me see… O…GET THE FUCK OUT“; in seguito, Locsin afferma che le azioni della Repubblica Popolare danneggino pesantemente i rapporti diplomatici tra Pechino e Manila, nonostante gli sforzi di quest’ultima di mantenerli ottimali. Ricorrendo ad un’altra definizione colorita, Locsin definisce la Cina come “un brutto idiota che concentra le sue attenzioni su un bel ragazzo che vuole essere un amico, non il responsabile di una provincia cinese”.

Dichiarazioni fatte quando alla presidenza delle Filippine c’era ancora una figura molto più orientata a mantenere buoni rapporti diplomatici con la Cina. Cosa che non si può dire dell’attuale presidente Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr, fautore fino ad ora di una politica di equidistanza tra Pechino e Washington, su cui potrebbero però pesare gli ultimi screzi tra il Dragone e la repubblica dell’arcipelago pacifico.

Nelle ultime settimane a causare dissidi tra la Cina e le Filippine è stato un piccolo atollo sito nel Mar Cinese Meridionale, all’interno del conteso arcipelago delle isole Spratly, noto come Second Thomas Shoal. Su quest’atollo, rivendicato sia da Manila che da Pechino (che lo chiamano rispettivamente Ayungin e Renai Reef), le Filippine hanno fatto arenare nel 1999 la Sierra Madre, una nave militare risalente alla seconda guerra mondiale, con lo scopo di “fortificare” l’isola assieme alle pretese territoriali filippine. La nave stessa ospita un piccolo presidio di militari filippini, i quali rendono ancora più saldo il controllo di Manila su questo lembo di terra in mezzo all’Oceano. Pechino ha più volte chiesto la rimozione della nave da guerra, vedendola come un ostacolo alle sue rivendicazioni sempre più pressanti; viceversa, le Filippine hanno ripetutamente accusato la guardia costiera cinese di intralciare le missioni di rifornimento ai militari presenti sull’atollo: l’ultimo di questi episodi risale al 5 agosto, quando una corvetta dell’Esercito popolare di Liberazione ha aperto il fuoco un cannone d’acqua contro un’imbarcazione filippina.

Quest’accresciuta assertività cinese nei confronti del Second Thomas Shoal non è un caso isolato, anzi. L’arcipelago delle Spratly in generale è oggetto di contenzioso tra Pechino e gli altri stati dell’area, compresi Filippine e Vietnam, per le rivendicazioni territoriali delle isole che lo compongono. E nell’intera area dell’Indo-Pacifico, la Repubblica Popolare sta assumendo atteggiamenti sempre più spavaldi e provocatori.

In questo clima di crescente tensione, la decisione di Marcos Jr. di nominare “Teddy Boy” come inviato a Pechino (anche se in forma parziale, poiché nell’assumere questo ruolo Locsin non abbandonerà quello di Ambasciatore a Londra) è un segnale della nuova direzione che Manila sta percorrendo nel gioco diplomatico dell’Indo-Pacifico: rispondere alla rinnovata aggressività di Pechino in tono duro e forte. Come quello dei tweet di Locsin.

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