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“Ahó, mi fijio er banco mica l’ha buttato da solo! L’artri due lo ‘ncitavano! Te pare ggiusto che solo lui hanno sospeso?”. Eravamo negli anni Novanta e una signora, mentre ero in fila in macelleria, sapendo del mio lavoro di insegnante, mi raccontava, scaldandosi, di suo figlio (“viene a mangià la pizza con noi e gli amici di famija: tutti mi fanno i complimenti sulla su’educazzione!”), che aveva gettato un banco nel cortile (“ma sotto nun c’era nessuno!”). Il preside del tempo fece una denuncia presso la Tenenza dei Carabinieri, e il ragazzo venne sospeso. La mamma si lamentava: la “colpa annava divisa perché gli altri lo avevano incitato!”.

Naturalmente da docente e poi da preside (rifuggo il tronfio costrutto “dirigente scolastico” che, a mio avviso, annulla il ruolo pedagogico del “preside” e sposta il titolo verso un “dirigente” pagato come un “pittore de Roma”, leggasi “imbianchino”), di comportamenti adottati da minori o diciottenni, al limite delle norme di igiene, bullismo verbale, fisico e digitale, nonché sicurezza, ne ho dovuti gestire diversi.

Ora, per il “caso Treviso”, il mondo della scuola, e non solo, non sta accettando, mi pare, il nove in condotta allo scrutinio finale, per i due ragazzi che, qualche mese fa, spararono proiettili di gomma contro una docente della classe. Sicuramente il Consiglio di classe e, forse (glielo auguro), le due “Camere” presenti in ogni istituto (Collegio dei docenti; Consiglio di istituto) avranno dibattuto e votato sulle giuste sanzioni educative da applicare ai due cow-boys, che ricordano i tre bulli di Hi Noon (Mezzogiorno di fuoco, 1950, Fred Zinneman).

La semplice sospensione (starsene a casa due o tre giorni) non ha senso, di fronte a un «(…) gesto grave e le sue conseguenze» (Massimo Gramellini, Corriere della Sera, 23 giugno 2023). Gli organi di quell’istituto avranno, sicuramente, prodotto un loro “coerente” intervento educativo. Nel quale, a quanto è dato di sapere dalla cronaca, stona il 9 in comportamento. Sicuramente le mie informazioni non sono complete, e chiedo scusa.

Nel mio istituto, ad esempio, da anni applichiamo una sanzione educativa, così articolata. Innanzitutto, lo studio delle norme giuridiche/etiche violate, cui segue una verifica di diritto/educazione civica, orale e/o scritta, con valutazione; le scuse scritte verso le persone offese/colpite; il voto di comportamento abbassato in proporzione al “reato”; l’eventuale esclusione del/la ragazzo/a, per un anno, da ogni viaggio di istruzione. (Poiché uno che spara, ad esempio, potrebbe spingere, sempre per goliardia, un compagno giù da un balcone del settimo piano dell’hotel in cui si alloggia. O rubare, per esibizionismo, un dentifricio dal supermercato, facendo passare ai docenti accompagnatori, e al reo, la serata in una stazione di Polizia, guastando così l’armonia di una “gita di istruzione”).

Nella tanto desiderata “autonomia” degli istituti, di cui si parla da anni, e che alcune forze politiche e certi sindacati cercano di limitare, se fosse reale, in tale “autonomia”, si potrebbero inserire le sanzioni amministrative, votate dagli organi collegiali. Hai sparato con i pallini? Oltre tutto quello di cui sopra, ecco la sanzione amministrativa: fino a 20.000 euro, faccio per dire, ovviamente rateizzabile. Appartieni al ceto borghese o al “quarto stato”? Non mi interessa. Paghi. Hai l’Isee basso, ma indossi scarpe da 700 euro, Smartwatch e iPhone, e dichiari di essere povero (magari con il babbino o la mammina impegnati al nero)? Paghi. E cresci. E gli eventuali 20.000 euro di multa? Per i viaggi di istruzione dei ragazzi, senza il reo.

 

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