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Ore di fuoco al summit del Consiglio europeo di Bruxelles. Benché non fosse in programma, la questione della legge sulle emissioni delle auto – che nella sua forma attuale porterebbe, nei fatti, al bando di immettere nuovi motori endotermici su strada dal 2035 – è stata il centrotavola dei dibattiti di giovedì. E da quello che traspare nel pomeriggio di venerdì, mentre la riunione dei leader europei volge al termine, la questione rimane irrisolta.

Le fazioni sono due: da una parte la maggioranza dei Paesi (assieme alla Commissione) che non sono intenzionati a riaprire il dibattito. Dall’altra il fronte sempre più nutrito in difesa del motore endotermico, che comprende diversi produttori di auto e componenti: Germania, Italia, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e (ultima aggiunta) Bulgaria. Questi Paesi stanno spingendo per cambiare i limiti della bozza e allungare la vita dei motori endotermici in combinazione con l’uso dei carburanti sintetici; la Germania parteggia per i cosiddetti e-fuel, i carburanti chimici, mentre l’Italia porta avanti l’istanza dei biocarburanti.

Tuttavia, non è solo una questione di protezione dell’industria. Né un peana di comodo per il principio della neutralità tecnologica. Come ha evidenziato Giorgia Meloni durante i lavori di giovedì, forzare la conversione all’elettrico al momento significa lasciare l’Ue alle dipendenze (tecnologiche) di chi controlla il comparto delle batterie: la Cina. Italia ed Europa sono avvantaggiate su alcune tecnologie, ha rimarcato la premier, sottolineando che legarsi a quelle dove Paesi terzi hanno un vantaggio va a scapito della competitività del sistema europeo.

Uscendo dalle stanze del Consiglio, Meloni ha dichiarato che “la battaglia sui biocarburanti non è persa”, sostenuto che quella della neutralità tecnologica è vinta, ed esortato la Commissione a far sì che ogni Stato membro possa raggiungere gli obiettivi europei nella maniera che preferisce. “Stiamo dimostrando come anche i biocarburanti rispettino le emissioni zero: se una tecnologia risponde a quei target che ci siamo fissati, quella tecnologia può essere utilizzata”.

C’è convergenza con la Germania, ha continuato Meloni, nel sostenere che l’elettrico non possa essere l’unica opzione. E anche con la Francia, che pur essendo la principale nemica delle posizioni italiane e tedesche sull’auto (Parigi ha confermato che non avrebbe rimesso in discussione il limite al 2035) pone la stessa questione della neutralità tecnologica in altri ambiti.

Il tema dell’auto interseca anche quello dell’idrogeno e delle energie rinnovabili. O meglio, di cosa qualifichi come rinnovabile. L’altra grande questione irrisolta in Ue è la classificazione dell’idrogeno prodotto con energia nucleare, che la Francia vorrebbe fosse visto come verde, e che la Germania osteggia. Su questa definizione stanno ballando miliardi in agevolazioni e investimenti, assieme alla possibilità delle capitali di avvantaggiarsi nella corsa verso i mercati energetici del futuro.

Proprio in questo ambito si può leggere il lungo faccia a faccia di giovedì sera tra Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron, che secondo l’Eliseo “è stato un’occasione per discutere le opportunità di cooperazione su questioni importanti per entrambi i Paesi, come la migrazione, l’industria e lo spazio”. E non è affatto irrealistico pensare a un mutuo soccorso: se Roma può prestare il suo “sì” al nucleare come tecnologia verde, Parigi può offrire una sponda importante sul dossier migrazione – il quale, lungi ormai dall’essere il punto di frizione dello scorso autunno, oggi riguarda la necessità di rispondere alla crisi tunisina e contenere la destabilizzazione (aggravata dalla Russia) nel continente africano.

Meloni Consiglio europeo

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