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Il mercato globale delle telecomunicazioni satellitari – oltre 100 miliardi di dollari nel 2021 secondo la Satellite Industry Association – che pochi grandi operatori hanno dominato negli ultimi tre decenni sta evolvendo in modo repentino mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza.

Ne abbiamo parlato qui diversi mesi fa, e occorre constatare che l’evoluzione di quel mondo spaziale che appare lontano ai nostri occhi sta per avere conseguenze imprevedibili, non solo sul piano economico-commerciale ma anche su quello geopolitico.

Vediamo rapidamente il primo aspetto: i quattro più grandi operatori di flotte di satelliti geostazionari stanno discutendo da mesi su ipotesi di fusioni incrociate. La lussemburghese Ses è in trattative per unirsi con la rivale statunitense Intelsat. Viasat Inc. nel 2021 ha annunciato di voler acquisire Inmarsat per 7,3 miliardi di dollari, e un anno dopo Eutelsat Communications Sa ha dichiarato di voler aumentare la propria quota di azionariato nella costellazione OneWeb; entrambe ora sperano di ottenere le approvazioni normative per procedere con le acquisizioni.

Tutti questi accordi tra società sono esplicitamente dichiarati come una modalità di posizionamento commerciale per competere al meglio contro Starlink, il servizio Internet satellitare gestito dalla SpaceX di Elon Musk.

Il fatto è che le fusioni consolidano i bilanci ma non modificano il modello di business e non è detto che incrementino le quote di mercato. Quest’ultime si sommano per addizione in una fusione ma ciò potrebbe non bastare a fermare l’aggressività commerciale dei satelliti di Elon Musk, quindi gli operatori satellitari provano anche ad adottare misure per rafforzare la loro offerta di servizi. Viasat Inc. ha dichiarato agli investitori a febbraio che il lancio di un nuovo satellite ad aprile aiuterà ad aumentare il business dell’Internet residenziale negli Usa, fortemente in calo negli ultimi tempi. Ma proprio lo stesso mese, come riportato dal Wall Street Journal, Starlink ha adeguato i prezzi per i suoi abbonati sia consumer che business incrementando il rapido e positivo trend di crescita già avviato lo scorso anno.

La New Space Economy che troppe persone in maniera superficiale decantano come una fonte di crescita felice, è nei fatti in corso di sviluppo principalmente da parte di un’industria spaziale – privata in Usa e a controllo politico in Cina – che sta sfruttando la miniaturizzazione della tecnologia e la riduzione dei costi di lancio per realizzare flotte di migliaia di satelliti nelle orbite basse con cui fornire una copertura a banda larga, globale, persistente e con bassa latenza.

Tutto ciò è un colpo letale per gli operatori satellitari tradizionali che infatti stanno attuando le strategie di sopravvivenza, cioè fondersi tra loro sperando di resistere ancora per il prossimo futuro.

Ciò che però ci riguarda direttamente non è il destino di queste società quanto le conseguenze geopolitiche di questo nuovo modello economico che si sta formando a velocità incredibile.

Nei giorni scorsi il Washington Post ha riportato fonti cinesi secondo cui i ricercatori militari di Pechino hanno iniziato a dispiegare i primi satelliti della futura rete satellitare nazionale con cui contrastare Starlink ritenuta, dopo il ruolo di successo nella guerra in Ucraina, una grave minaccia alla sicurezza nazionale.

Questa posizione cinese non è nuova. Già nel 2021 i diplomatici di Pechino si erano lamentati alle Nazioni Unite perché i satelliti della SpaceX avevano costretto la stazione spaziale cinese a spostarsi per evitare pericolose collisioni. Quest’accusa aveva scatenato in Cina un’ondata di critiche sui social media contro Elon Musk arrivando persino a richieste di boicottaggio nei confronti della Tesla Motors, che a Shangai ha il suo centro di produzione più grande dopo Freemont negli Usa.

Lo stesso Musk aveva poi dichiarato in un’intervista al Financial Times di essere stato convocato a Pechino per fornire garanzie sull’utilizzo dei servizi Starlink sul territorio cinese.

Ma ovviamente tutto ciò non è sufficiente.

Recenti documenti visionati dal Washington Post affermano che Pechino sta pianificando di dispiegare una mega-costellazione nazionale da 13.000 satelliti in orbita bassa, mentre gli scienziati militari stanno portando avanti ricerche su come sopprimere o danneggiare i satelliti Starlink in scenari di guerra.

Il progetto satellitare cinese noto come “GW” o “Guowang” – che si traduce come “rete statale” – è noto dal 2021 anche se le informazioni sono sempre state rarissime. Ora però, i ricercatori cinesi hanno espresso pubblicamente preoccupazioni sul fatto che il loro progetto sia troppo indietro rispetto a Starlink.

Secondo le fonti del Washington Post, questo sta a significare due cose: che il progetto Gw deve essere accelerato e che occorre “esplorare” misure difensive contro i satelliti stranieri.

Anche perché la tecnologia di comunicazione di Starlink ha superato dei test operativi in Ucraina in scenari di guerra per oltre un anno, e non a caso proprio ora la Space Force statunitense comincia a lanciare in orbita a bordo dei razzi Falcon 9 della SpaceX i primi satelliti pre-operativi della costellazione Pwsa, Proliferated Warfighter Space Architecture.

Pwsa sarà composta da migliaia di satelliti in orbita bassa, il numero esatto non è noto, e sarà divisa in un “Transport Layer” dedicato alle connessioni globali a larga banda fisse e mobili, e in un “Tracking Layer” che andrà a integrare i satelliti geostazionari Sbirs – Space-Based Infrared System – per la detezione dei missili balistici anche ipersonici.

C’è da scommettere che la tecnologia Starlink sarà ampiamente utilizzata nell’ambito della rete Pwsa.

Pochi mesi fa, il Pentagono aveva annunciato il progetto Starshield come una variazione della costellazione Starlink ma interamente dedicata ad utilizzi governativi come l’osservazione della Terra, le telecomunicazioni e l’hosting di payload singoli per specifiche applicazioni militari. Appare quindi probabile che Starshield sia una delle componenti essenziali della Pwsa.

In questo modo Starlink dopo il suo ruolo importante sul campo di battaglia ucraino che ne ha sancito un successo tecnologico indiscutibile, prova a uscire dal mirino militare di Russia e Cina, focalizzandosi sul mercato commerciale e lasciando che sia direttamente il Pentagono a rientrare direttamente sul terreno orbitale come attore primario che opera assetti di proprietà.

Una partita comunque rischiosa.

In un articolo pubblicato a dicembre sulla rivista dell’Università di ingegneria spaziale dell’Esercito popolare di liberazione cinese, i ricercatori hanno scritto “una volta completata la costellazione Starshield equivarrà all’installazione di telecamere di sorveglianza in rete in tutto il mondo. Così le operazioni militari, compreso il lancio di missili balistici, missili ipersonici e aerei da combattimento, difficilmente sfuggiranno al monitoraggio degli Stati Uniti”.

I ricercatori hanno anche descritto potenziali metodi per disabilitare i satelliti Starlink. “È difficile danneggiare fisicamente la costellazione – afferma l’articolo adducendo che un campo di detriti potenzialmente enorme creerebbe un problema a tutti i satelliti in orbita – pertanto, laser o microonde ad alta potenza possono essere utilizzati per danneggiare i payload trasportati dai satelliti Starlink”. Si tratta di tecniche dette di “soft-kill” che disabilitano l’elettronica satellitare senza causare detriti dannosi. I ricercatori militari cinesi sfruttano anche le potenziali debolezze dei servizi Internet di Starlink per condurre attacchi informatici al fine di paralizzare la rete di comunicazione. Secondo le fonti del Washington Post questo tipo di ricerca è già a un livello relativamente sofisticato. “La sfida più grande è monitorare le operazioni di Starlink – scrive il Post – perché le dimensioni della costellazione rendono difficile capire il suo vero scopo.”

In quest’ultima frase c’è l’ulteriore e forse dirimente aspetto di criticità cui stiamo andando incontro.

Non c’è solo il tema del confronto geopolitico spaziale sempre più acceso tra Pechino e Washington, con entrambi i paesi che investono pesantemente in tecnologie difensive all’avanguardia e missioni di esplorazione in deep Space, compresi gli sforzi per tornare sulla Luna, quanto soprattutto il tema della sostenibilità prospettica dell’ecosistema eso-atmosferico pervaso da decine di migliaia di satelliti lanciati in orbita anno dopo anno con una crescita esponenziale.

Sotto questa chiave di lettura la New Space Economy è una partita geopolitica e una sfida ambientale dalle conseguenze imprevedibili, ma soprattutto è un gioco a somma zero.

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