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La visita di Elon Musk – che è ritornato ad essere l’uomo più ricco del mondo, secondo le ultime stime con un patrimonio netto di 192 miliardi di dollari – in Cina questa settimana ha avuto un importante eco mediatico, soprattutto in un contesto che vede le relazioni tra Pechino e Washington sempre più tese. Musk, che non visitava il Paese in via ufficiale dall’inizio della pandemia, è arrivato martedì e ha incontrato i massimi esponenti del governo cinese.

Dapprima con il ministro degli Affari Esteri, Qin Gang, già ambasciatore cinese negli Stati Uniti. Come riportato da una dichiarazione ufficiale pubblicata sul sito del ministero cinese, Musk avrebbe condiviso con Qin l’idea che il “decoupling” commerciale e tecnologico tra Usa e Cina sia contro l’interesse dei due Paesi. Il giorno successivo, il fondatore di Tesla ha invece incontrato Jin Zhuanglong, potente ministro dell’Industria e della Tecnologia per l’Informazione (Miit). Secondo un comunicato ufficiale, i due avrebbero discusso dell’industria dei veicoli elettrici e delle potenzialità dei veicoli a guida autonoma.

“Il disaccoppiamento dalla Cina significa disaccoppiarsi dalle opportunità, disaccoppiarsi dal futuro”, ha scritto Xiake Dao, un blog affiliato al People’s Daily, il giornale ufficiale del partito. “Anche se la Casa Bianca è d’accordo con le argomentazioni a favore del disaccoppiamento, i Musk [del mondo] non saranno d’accordo”. Il viaggio di Musk, ceo di Twitter, social media proibito in Cina, è stato un vero e proprio assist alla leadership cinese, volto a segnalare al mondo l’apertura del Paese verso gli investimenti esteri nonostante misure sempre più draconiane per tutelare la sicurezza nazionale e assicurare un controllo più severo nei confronti delle aziende che operano in Cina. Timori che hanno portato la US Chamber of Commerce a considerarle molto “rischiose” per la continuità del business.

Ma la visita più importante, considerati gli interessi di Tesla, è avvenuta il giorno successivo con il ministro del Commercio cinese responsabile del monitoraggio del piano di espansione della gigafactory a Shanghai, inaugurato nel 2019. L’impianto, il più produttivo dell’azienda e inaugurato in tempi record grazie anche a prestiti e incentivi (circa 1.4 miliardi) assicurati dalle autorità locali, ad oggi ha una capacità manifatturiera enorme: può produrre infatti 1 milione di veicoli elettrici (Ev) all’anno. Solo nel 2022 ha prodotto 700.000 unità tra il Model Y – secondo i dati di Jato, agenzia specializzata, nel primo quadrimestre del 2023 è stata l’auto più vendita al mondo – e il Model 3, più di metà dell’intero output dell’azienda. Le vendite di auto elettriche in Cina contano per più di metà delle entrate della gigafactory, mentre le restanti sono esportate perlopiù in Europa. Secondo molti osservatori, la facility di Shanghai ha sostanzialmente stimolato la popolarità delle auto elettriche e la competizione con i produttori locali – come BYD, Cheery e Nio.

La Cina è infatti un mercato molto importante per Tesla, essendo il più grande al mondo per gli EV: le vendite di veicoli elettrici a batteria hanno superato i 4,5 milioni di unità nel 2022, circa il 60% del totale globale secondo i dati dell’International Energy Agency. Vendite che potrebbero crescere del 30% nel 2023, secondo le stime di Citi.

Poco meno di un terzo delle entrate di Tesla derivano dal mercato cinese, mentre cresce sempre di più la rivalità nell’Impero di Mezzo con BYD che punta ad affossare la crescita del colosso americano. Lo share di Tesla nel mercato Nev (new energy vehicle) – come sono comunemente indicati i veicoli a batteria e ibridi – inizialmente è sceso per poi risalire dal 7.9 al 9.6% nel 2022 secondo i dati di Automobility, agenzia di consulenza di Shanghai. BYD rimane il brand più venduto in Cina per quanto concerne gli Ev, con uno share cresciuto fino al 38.1% nel corso del 2022.

Proprio l’espansione fenomenale di BYD – creatura di Wang Chuanfu, chimico e visionario delle batterie – che ha attirato l’interesse dell’investitore miliardario Warren Buffet ha allarmato la stessa Tesla, decidendo di tagliare i prezzi per reggere la competizione feroce del colosso cinese sul suo territorio. La rapida ascesa degli Ev in Cina, trainata da un saldo controllo della supply chain dalle miniere alle batterie, con costi di manifattura bassi e investimenti su nuove tipologie di batterie rendono la competizione degli altri brand globali sempre più complessa. I produttori di Ev cinesi sfidano sostanzialmente sé stessi in questo mercato emergente, mentre la controparte occidentale deve ancora fare i conti con la popolarità e l’accessibilità (in termini di costi e infrastrutture) dei veicoli a combustione in Europa e negli Stati Uniti. “Come possiamo batterli sui costi se la loro scala di produzione è cinque volte la nostra?”, ha commentato il ceo di Ford, Jim Farley.

La relazione di lunga data tra Tesla e la Cina – soprattutto grazie alla non così nascosta ammirazione e accondiscenda di Musk, se consideriamo che sulla questione più calda, l’integrità territoriale di Taiwan, vede una certa “inevitabilità” nella riunificazione – inoltre rende meno complessa la gestione dei rischi lungo la supply chain, nonostante all’Investor Day l’annuncio di rinunciare progressivamente ai magneti permanenti nei suoi motori elettrici indichi un certo grado di consapevolezza, così come quella di entrare con convinzione nel segmento della raffinazione del litio per gli impianti in Nord America.

Sulle batterie, invece, vi è già una totale sintonia commerciale: BYD fornirà a Tesla batterie al litio ferrofosfato (Lfp), mentre una platea di fornitori, tra cui Huayou Cobalt e Cngr Advanced Material hanno già firmato accordi per assicurare all’azienda i materiali catodici. La cena di Musk e Yuqun Zeng, presidente e fondatore, insieme a Robin Zheng, di Catl (il più grande produttore di batterie al litio al mondo, con il 34% di market share) ha cementato sicuramente questa relazione, nonostante i contenuti dell’incontro siano rimasti segreti.

Le parole di Musk durante il suo discorso presso la Giga Shanghai sono, inoltre, un’indicazione duplice: innanzitutto di quanto Tesla debba il suo successo all’economia di scala resa possibile in Cina e, non meno importante, dei passi avanti fatti della tecnologia delle batterie fornite dall’industria cinese: “È incredibile e impressionante di come siate riusciti a superare così tante difficoltà e sfide. Mi scalda il cuore, lo sapete. E lo dico alle persone in giro per il mondo – le macchine che producete qui sono non solo le più efficienti, ma anche di qualità eccellente”.

Dunque, è evidente come Tesla rappresenti un elemento di discontinuità evidente tra le esigenze politiche degli Stati Uniti – svincolare la propria dipendenza dalla Cina per i materiali critici e le batterie – e di continuità per la forte integrazione al mercato cinese che conta ancora tantissimo per Elon Musk, e non solo. Pensiamo ai semiconduttori, a Jensen Huang e Nvidia, o al CEO di JP Morgan, che ha visitato di recente la Cina.

La tesi del decoupling, per Musk, è sostanzialmente priva di fondamento economico. Tesla ne è un esempio concreto perché è al contempo cliente e competitor nella catena del valore degli Ev, sempre più orbitante in Cina: uscire dal Paese significherebbe perdere un accesso privilegiato ai fornitori di materiali e batterie, oltre all’opportunità di crescita della domanda di Ev nel mercato più grande e maturo al mondo in questo settore.

La visita di Musk in Cina e la geopolitica delle batterie

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