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Una settimana. Poi l’Ucraina saprà se potrà contare sul sostegno finanziario dell’Europa, oppure no. Quello americano, d’altronde, non è più all’ordine del giorno, da tempo. In altre parole, a Kyiv non restano che quei 140 miliardi sotto forma di prestito garantito da poco meno di 200 miliardi di riserve della banca centrale russa detenute in Europa, in Belgio per la precisione. Altri soldi, non ce ne sono. Tra una settimana, a Bruxelles, i leader dell’Unione torneranno a guardarsi in faccia, per l’ultimo Consiglio europeo dell’anno.

E la domanda sarà sempre la stessa: è giusto o no monetizzare le riserve russe per ricavarne un prestito da girare all’Ucraina? Ursula von der Leyen ha messo giorni fa sul tavolo tre opzioni, di cui una prevede un finanziamento blindato dai fondi russi. L’operazione di per sé starebbe anche in piedi, il problema è semmai politico. Il Belgio, per esempio, teme una valanga di contenziosi legali o, peggio, una fuga precipitosa dei capitali. Per questo il Paese che porta in dote il grosso delle riserve russe, ha chiesto più garanzie a Bruxelles.

E poi c’è Viktor Orban, il premier ungherese molto vicino a Mosca. Troppo. Eppure, dietro le quinte si continua a lavorare a un accordo, in grado di sterilizzare paure e remore. Per esempio, come ha riportato il Financial Times, si starebbe tentando di portare in seno al Consiglio della prossima settimana, una legge che invochi poteri di emergenza per annullare i veti nazionali sull’estensione delle sanzioni e sull’uso degli asset russi, mirando a proteggere l’influenza di Bruxelles nei colloqui di pace guidati dagli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina.

Insomma, con il contachilometri giunto ormai a ridosso di quelli consentiti, per non far andare fuori giri la strategia finora perseguita, si punta dunque a consegnare al Consiglio europeo del 18-19 dicembre, quell’agognata soluzione che gli sherpa dell’Ue definiscono creativa. E che, tra lacune giuridiche già evidenziate da varie cancellerie, come il Belgio, che non esclude un’azione legale, se si decidesse di procedere al via libera senza tener conto delle preoccupazioni espresse dal Paese, o come l’Ungheria, contraria per ragioni più politiche, potrebbe tirare fuori l’Ue dall’impasse.

Come? Per finanziare il maxi-prestito all’Ucraina, bisognerebbe ad oggi superare il rinnovo ogni sei mesi del regime sanzionatorio inflitto a Mosca. Altrimenti gli Stati Ue dovrebbero tenersi pronti a versare immediatamente le somme in caso di necessità. L’obiettivo è dunque usare lo strumento dell’immobilizzazione degli asset a tempo indeterminato, per impedirne il rimpatrio prima del pagamento delle riparazioni. E per superare il veto di Orbán c’è un bivio rapido: il ricorso all’art.122 del Trattato che permette di approvare misure di emergenza economica a maggioranza qualificata, non all’unanimità. Una via frutto dell’ingegneria di Bruxelles che trova sponda parziale in una Bce in linea generale critica sul toccare tali asset. I giochi sono aperti.

Trattati e leggi ad hoc. Bruxelles tenta il tutto per tutto sugli asset russi

Tra una settimana il Consiglio europeo decisivo per le sorti dell’Ucraina, ormai a corto di liquidi. L’ultima carta per sbloccare il maxi-prestito potrebbe essere il ricorso ai trattati, superando così i veti incrociati di Belgio e Ungheria. Una cosa è certa, il tempo stringe

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