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Pubblicata nei giorni scorsi la “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2022”, una completa panoramica sulle molteplici minacce poliedriche che caratterizzano il complesso sistema geopolitico in cui siamo inseriti. C’è un passaggio che, a parere di chi scrive, deve colpire con forza e coinvolgere l’attenzione di ogni singolo cittadino: quello che nell’iniziale paragrafo introduttivo richiama l’auspicio di “accrescere ulteriormente la conoscibilità di un’istituzione, quale è l’intelligence, che trae alimento anzitutto dalla fiducia che la Nazione ripone nei suoi confronti: ciò, a maggior ragione, in un’epoca di minacce senza frontiere e sempre più integrate, tali da chiamare anche i cittadini e le imprese a concorrere nel garantire un bene costituzionale, la sicurezza nazionale, che costituisce presupposto essenziale per perseguire qualsiasi altro interesse”.

Tale richiamo contiene due importanti riferimenti: il primo è quello alla volontà di rendere l’attività dei servizi di sicurezza sempre più vicina e fruibile per i cittadini, chiedendo loro di concorrere nel garantire la sicurezza nazionale, anche tramite un percorso di conoscenza e consapevolezza del lavoro fondamentale e prezioso svolto dagli apparati di intelligence e dismettere un ormai vetusto atteggiamento di diffidenza; il secondo è proprio il riferimento alla sicurezza nazionale come bene costituzionale senza la cui tutela non può essere garantita la sopravvivenza stessa dello Stato, richiamo questo alla Sentenza della corte costituzionale n. 86 che, nel 1977, aveva definito la sicurezza dello Stato un bene giuridico superiore rispetto a tutti i beni giuridici istituzionalmente protetti, in quanto “interesse essenziale, insopprimibile della collettività, con palese carattere di assoluta preminenza su ogni altro”.

Quanto detto sollecita ad una riflessione sul significato di interesse nazionale, che sembrerebbe fare riferimento ad un concetto estremamente etereo e di difficile comprensione, tanto più in un momento particolarmente complesso quale quello attuale, in cui il panorama internazionale suscita preoccupazione ed insicurezza.

L’interesse nazionale, lungi dall’essere un’astrazione ideale, mira a garantire l’integrità dello Stato e a tutelare, sotto ogni aspetto, la sopravvivenza stessa della Nazione, garantendo ai cittadini quella sicurezza di cui necessitano per condurre le proprie vite con fiducia nei confronti delle azioni intraprese dalle Istituzioni. Il punto di incontro tra i cittadini e le istituzioni, riferimento più prossimo e interfaccia per le loro esigenze quotidiane, è la Pubblica Amministrazione, chiamata a rappresentare una “casa di vetro” come auspicava Filippo Turati nel 1908 in un celebre discorso tenuto alla Camera dei Deputati, utilizzando un’immagine altamente evocativa. Per coloro cui sono affidate le funzioni pubbliche, la nostra Costituzione ha tracciato una chiara traccia all’art.54, in cui, al secondo capoverso, si indica che essi “hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.

Tale riferimento ai concetti di disciplina ed onore potrebbe richiamare la medesima sensazione di inadeguata concretezza sopra riferita al concetto di interesse nazionale. Non tanto per quanto riguarda il riferimento alla “disciplina” che si può facilmente inquadrare nei molteplici richiami a codici etici e di comportamento previsti per il pubblico dipendente, quanto per quello al concetto di “onore”, in riferimento al quale è invece meno immediato o codificato un perimetro di valori oggettivi che delineino i contorni ad esso riferibile. Il termine “onore” appare oggi infatti più desueto che mai, relegato a vecchie vicende di racconti mitici o comunque ad una modalità di concepire l’esistenza non più condivisa e comprensibile per i più.

Eppure, non è certo per una svista dei Padri Costituenti che sia proprio la parola onore, con il patrimonio intangibile che essa sottintende, ad essere indicata quale metro di comportamento, e non un invito, per coloro cui sono affidate pubbliche funzioni, e che proprio ad esso devono richiamarsi per svolgere coerentemente al proprio mandato, un servizio per la comunità tutta. Esso richiama un concetto di integrità che va a contrapporsi alla corruzione, parola che, come descritto nel suo senso etimologico, rimanda al significato fisico di decomposizione e putrefazione, mentre se si fa riferimento alla giurisprudenza, subito sovviene la descrizione quale  “pactum sceleris”. Richiama altresì il concetto di disciplina, che compare nelle divinità del Pantheon romano, in qualità di dea dell’istruzione e dell’autocontrollo, accompagnata dalle virtù della frugalitas, fidelitas e severitas, un tempo considerate irrinunciabili prove di rettitudine.

Il concetto di onore ha anch’esso una radice etimologica dal latino e, come la disciplina, incarna una divinità romana, Honos, raffigurata come un giovane guerriero, dio dell’onore militare e della moralità che, come è possibile vedere in numerose raffigurazioni, insieme alla Virtus (Dea Virtù) accompagnava Marte, il dio della guerra, come qualità indispensabili del miles di Roma, colui che doveva essere pronto a combattere per difendere la sacralità e l’esistenza stessa della Città Eterna.

Non a tanto è chiamato il pubblico dipendente, ma riprendendo quanto sopra dedicato alla riflessione sull’interesse nazionale, è forse utile rilevare come il concetto di onore richiamato nella Costituzione, possa tracciare una via per tutti coloro che hanno scelto di far parte della Pubblica Amministrazione e quindi prendersi cura del Bene Comune e tutelare la “cosa pubblica”: una modalità di dedicare il proprio servizio all’interesse nazionale, nella piena consapevolezza di essere elemento utile, se non indispensabile, nell’esercizio quotidiano responsabile del proprio dovere, per raggiungere e garantire quella sicurezza che costituisce un bene costituzionale primario, senza la cui tutela non potrebbe esistere lo Stato stesso.

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