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Due settimane fa, giorno più, giorno meno, erano state le scuole a finire all’asta. Adesso in Cina, è il turno delle miniere. Alla periferia della seconda economia globale, continua lo psicodramma da debito, raccontato in numerose occasioni da questa testata. Intere province, così si chiamano le amministrazioni locali cinesi, hanno letteralmente finito i soldi in cassa, dopo due anni di restrizioni da Covid (e si parla di un ritorno del contagio nell’intero Paese), prestiti ricevuti e mai rimborsati e cantieri lasciati a metà.

Ora, per far funzionare i servizi essenziali, come sanità, istruzione e trasporti, non resta che vendere quello che si ha. O provarci almeno. Su tutti vale la municipalità di Hegang, vicino al confine con la Russia, che ad oggi vanta un debito con le banche doppio rispetto alle sue entrate fiscali. Durante lo scorso inverno, intere famiglie sono rimaste al gelo per il semplice fatto che non c’erano i fondi per pagare il gasolio per il riscaldamento.

E lo stesso vale per le scuole, dove cominciano a mancare gli stipendi per i docenti, gli addetti alle pulizie, i netturbini. Tutto, d’altronde, in Cina è statale e dunque se le amministrazioni sono rimaste a secco è un guaio. E la drammatica crisi di liquidità che sta affossando intere province dell’ex Celeste Impero coinvolge anche la sanità. A molti medici, per esempio, è stato stralciato il contratto siglato con le amministrazioni, per affidarlo a soggetti terzi, come se fosse un appalto. Il che ha avuto le sue conseguenze, come un ritardo sugli stipendi superiore a dieci giorni. Per tutti questi motivi, molti enti locali hanno messo in vendita anche le miniere.

Hegang rappresenta solo la punta dell’iceberg di un problema di debito pubblico locale che sta rendendo gli investitori sempre più nervosi e che minaccia di essere un freno per la seconda economia mondiale per gli anni a venire. Goldman Sachs stima, non a caso, che il debito pubblico totale della Cina sia di circa 23 mila miliardi di dollari, cifra che include i prestiti nascosti di migliaia di società di finanziamento create da province e città.

Tanto per dare l’idea, nel 2022, ciascuna delle 31 province e municipalità cinesi, ad eccezione di Shanghai, ha riportato deficit finanziari. E pensare che, come raccontato da questa testata, nell’ultima riunione del Politburo del Partito comunista, il massimo organismo decisionale cinese, il tema del debito è stato affrontato nemmeno dieci giorni fa. Gli alti dirigenti e i vertici delle autorità di vigilanza finanziaria hanno spiattellato sotto gli occhi del leader cinese, Xi Jinping, la drammatica situazione delle finanze cinesi. Una montagna di debito, sovrano o corporate, fa poca differenza, allocato per la la maggior parte nelle lontane e immense province cinesi.

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