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Gli anni trascorsi in Senato durante la scorsa legislatura qualcosa hanno insegnato. Per esempio che dai ranghi del governo si tendono a sottovalutare le conseguenze politiche della frustrazione individuale dei parlamentari di maggioranza. E la frustrazione, oggi, nonostante la legislatura sia iniziata da appena sei mesi ha già raggiunto i livelli di guardia.

Accade per due ragioni. La prima ragione è che, per usare il titolo di un celebre varietà televisivo degli anni Settanta, “non c’è una lira”. I margini della spesa pubblica sono, infatti, contenuti ai minimi storici. Lo dimostra il fatto che Salvini abbia dovuto rinunciare a realizzare la promessa elettorale di un intervento netto sulle pensioni, che Meloni abbia dovuto ridurre a poca cosa gli assai decantati provvedimenti sul fisco e che, ciò nonostante, ad oggi il governo non abbia la più pallida idea di dove reperire quei 3,4 miliardi necessari a finanziare il bonus figli e il taglio del cuneo fiscale. Non c’è una lira, cioè un euro. E quando entrerà in vigore la riforma del Patto europeo di stabilità almeno altri 7 miliardi usciranno ogni anno dalle casse dello Stato per andare ad abbattere il debito pubblico, senza che la politica possa disporne. Questo significa che ai parlamentari di maggioranza sono preclusi tutti quegli interventi legislativi di natura più o meno clientelare utili a coltivare il consenso nei rispettivi collegi elettorali e, per molti, a dare un senso alla propria presenza nelle commissioni e nelle aule parlamentari. Niente soldi, niente clientele, niente gloria. Dunque, grande frustrazione.

Il secondo motivo di frustrazione è noto e attiene all’esautoramento del potere legislativo da parte dell’esecutivo. Fenomeno vecchio di decenni, ma che negli ultimi sei mesi ha compiuto un inedito balzo in avanti. Due dati emblematici certificati da Openpolis: nel suo primo semestre di vita, il governo Meloni ha approvato più decreti legge dei governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni; rispetto a quello che è accaduto nelle ultime tre legislature, il governo Meloni ha risposto al 27,2% delle interrogazioni parlamentari in meno. Insomma, è comprensibilmente diffusa tra i parlamentari la percezione di essere tanto trascurati quanto inutili. Del resto, in sei mesi il Parlamento ha completato l’iter di una sola ed unica legge (quella sull’equo compenso dei professionisti).

Si spiega, dunque, così, con la frustrazione del parlamentare medio, il fatto che giovedì siano mancati i voti di maggioranza per approvare lo scostamento di bilancio. È vero che è la prima volta che accade. Ma è anche vero che, dal dl flussi al dl impianti strategici, altre otto volte la maggioranza non avrebbe avuto i voti necessari per approvare provvedimenti del governo se non fosse stata involontariamente aiutata dalle assenze dei parlamentari di opposizione.

Delle tante cose dette da Giorgia Meloni nel giorno in cui la sua maggioranza è venuta meno alla Camera, una in particolare ci sembra sia pertinente sia urgente : “Dobbiamo parlare di più con i capigruppo e coinvolgere di più i parlamentari”.

 

Mai sottovalutare la frustrazione dei parlamentari. Il corsivo di Cangini

Giovedì sono mancati i voti della maggioranza per lo scostamento di bilancio alla Camera. Nonostante la legislatura sia iniziata da appena sei mesi, i parlamentari hanno già raggiunto livelli di guardia di insoddisfazione. E questo accade per due ragioni. Il corsivo di Andrea Cangini

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