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È stata l’ultima fatica di Giorgia Meloni a Bali, in Indonesia, prima di ripartire per l’Italia. Nella tarda serata balinese, la presidente del Consiglio italiano è stata accolta dal leader cinese Xi Jinping nell’hotel a Nusa Dua che in questi giorni di G20 è stato il suo quartier generale. Quello in cui ha accolto anche l’omologo statunitense Joe Biden per un colloquio che potrebbe aver gettato le basi per una de-escalation tra le due superpotenze e per una gestione della competizione mantenendo linee di comunicazione aperte.

L’incontro, durato un’ora circa, è stato definito da parte cinese come “molto cordiale”, come tutti quelli avuto in questi giorni con i leader occidentali. Meloni ha accettato l’invito di Xi a visitare la Cina e ha espresso l’interesse del governo italiano a promuovere gli interessi economici reciproci, anche nell’ottica di un aumento delle esportazioni italiane in Cina. Inoltre, i due si sono detti d’accordo nel “mettere in campo iniziative per porre fine alla guerra”. Si è parlato anche di diritti umani, ha spiegato Palazzo Chigi, con la presidente del Consiglio che ha rilevato l’importanza di riprendere tutti i canali di dialogo, incluso quello in materia di diritti umani.

Dopo i missili caduti sulla Polonia e i conseguenti incontri urgenti, il primo ministro britannico Rishi Sunak e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel avevano cancellato i loro bilaterali con il leader cinese. A un certo punto della giornata è sembrato in bilico anche quello con Meloni, che ha dovuto rinunciare al faccia a faccia con il primo ministro giapponese Fumio Kishida. Poi, dopo gli sviluppi dalla Polonia, l’incontro è stato confermato dal presidente del Consiglio in conferenza stampa. Scusandosi con i giornalisti, ha spiegato di avere poco tempo per rispondere alle domande, “altrimenti faccio una figuraccia”. Proprio con Xi che l’aspettava. Ha risposto così a un quesito sul memorandum d’intesa sulla Via della Seta firmato dal governo gialloverde nel 2019, definito prima delle elezioni un “un grosso errore” per il cui rinnovo, previsto nel 2024, “difficilmente vedrei le condizioni politiche”: “Preferisco non rispondere in questa sede perché non sarebbe molto cortese nei confronti del mio interlocutore che arriva dopo”.

Una cortesia prima di un incontro a tarda sera e piuttosto inusuale, favorito anche dalla presenza nella delegazione italiana di Luca Ferrari, ambasciatore in Cina chiamato da Meloni a Palazzo Chigi come sherpa G7/G20 accanto al consigliere diplomatico Francesco Talò. Infatti, non capita spesso che un bilaterale si tenga dopo la conferenza stampa di fine G20. Inoltre, come osservato dal Foglio, è un’anomalia per il cerimoniale cinese, visto che il leader difficilmente concede di far sedere il leader al tavolo con capi di governo appena eletti, che sono quelli con cui non c’è stato l’opportuno dialogo pregresso. A rendere ancor più anomalo l’incontro è la posizione sulla Cina di Meloni, che in campagna elettorale si era fatta fotografare con Andrea Sing-Ying Lee, rappresentante di Taiwan in Italia, da lei chiamato “ambasciatore”, una parola tabù per Pechino che considera l’isola un proprio territorio.

Per comprendere meglio il bilaterale odierno serve guardare a quanto accaduto nei giorni scorsi. Ieri Meloni ha incontrato Biden per “coordinare le risposte a una serie di sfide globali”, si legge nella nota della Casa Bianca in cui le sfide “poste dalla Repubblica popolare cinese” sono citate per prima. Tra Stati Uniti e Cina le distanze rimangono, su questioni come Taiwan e i diritti umani (nello Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong) ma anche sull’economia. Nell’incontro con Xi, Biden ha espresso “la sua preoccupazione per le pratiche economiche non di mercato della Cina, che danneggiano i lavoratori e le famiglie americane e di tutto il mondo”, ha spiegato la Casa Bianca. Inoltre, il presidente statunitense ha ribadito con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, l’impegno da 600 miliardi di cinque anni della Partnership Global for Infrastructure and Investment, un progetto lanciato durante il summit G7 di giugno e considerato l’alternativa dei Sette alla Via della Seta cinese.

Ma la de-escalation tra le due superpotenze potrebbe essere imminente, specie se Antony Blinken, segretario di Stato americano, volerà prossimamente in Cina come concordato tra Biden e Xi. È in questo contesto che Palazzo Chigi ha posto l’accento sulle questioni economiche discusse da Meloni con Xi e non su quelle politiche (Via della Seta, poliziotti cinesi e Istituti Confucio in Italia), ferme restando le difficoltà di fare distinzioni quando in ballo c’è la Cina. Come raccontato su Formiche.net, prima dell’incontro tra i leader i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia) e Adolfo Urso (Imprese) avevano ribadito l’importanza di assicurare l’autonomia in settori critici come tecnologia e produzione in un’era di de-globalizzazione, cercano così di chiudere il perimetro di sicurezza per evitare dipendenze indesiderate.

Nel mondo occidentale non sono passate però inosservate né certe ambiguità cinesi sulla Russia nonostante i tentativi di prendere le distanze dal presidente Vladimir Putin e dalla sua guerra all’Ucraina né la volontà di Pechino, espressa dal ministro degli Esteri Wang Yi all’omologo russo Sergey Lavrov a margine del G20, di lavorare assieme e con “altri Paesi che la pensano allo stesso modo” per “promuovere il multipolarismo nel mondo” sfruttando contesti come Organizzazione per la cooperazione di Shanghai e Brics per coordinare sforzi che appaiono revisionisti rispetto all’ordine internazionale.

Come leggere l'incontro tra Meloni e Xi, più economico che politico

Nei giorni scorsi entrambi i leader hanno incontrato il presidente americano Biden. La de-escalation tra le due superpotenze sta per iniziare? Nel faccia a faccia con il leader cinese, la premier ha auspicato la ripresa di tutti i canali di dialogo, incluso quello sui diritti umani. Attenzione, però, alle spinte revisionistiche di Pechino e Mosca

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