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Alla fine dell’anno scorso, l’Unione europea ha annunciato lo stanziamento di circa 1 miliardo di euro per sostenere i conti dei Paesi dei Balcani occidentali, cioè Albania, Bosnia, Serbia, Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Kosovo.

Secondo le parole di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, l’intenzione era “affrontare le conseguenze immediate della crisi energetica”, sotto forma di sovvenzioni, e investire in progetti per accelerare la transizione ecologica. Con quest’iniezione di capitale, l’Europa cercava di allontanare i Paesi dei Balcani dall’influenza della Russia – molto legata a Bosnia e Serbia –, Cina e anche Turchia.

Più recentemente, Bruxelles ha pianificato una strategia per riconquistare, o tenersi ancora stretti, quattro Paesi alleati: Brasile, Cile, Nigeria e Kazakistan. Da quanto si legge sul sito Politico, questa settimana i funzionari europei hanno diffuso un briefing confidenziale in cui si parla della strategia di Paesi che “siedono ai margini dell’alleanza guidata dall’Occidente che cerca di isolare la Russia, armare l’Ucraina e costringere la Cina”.

Il documento indica dove e come l’Unione europea spera di poter compiere progressi in ciascuno di essi: “C’è l’atteso richiamo a possibili accordi commerciali, ma il documento va ben oltre, suggerendo offerte su misura che l’Ue può fare in materia di energia, migrazione, sviluppo economico o coordinamento della sicurezza”.

L’obiettivo non dichiarato sarebbe creare più legami “e costruire un’economia di nuova generazione senza ingraziarsi gli autocrati. In effetti, Russia e Cina incombono sull’intero documento, con diverse menzioni ansiose dell’influenza globale o del comportamento destabilizzante dei Paesi”.

Dall’inizio della guerra russa in Ucraina, i funzionari europei si sono impegnati per fare incursioni più ampie in America Latina, Africa e Asia, di fronte ai miliardi che la Cina sta distribuendo.

E perché l’interesse è proprio su Brasile, Cile, Nigeria e Kazakistan? “Brasile e Cile sono in America Latina, ricca di materie prime – sottolinea Politico -. La Nigeria è una potenza economica nell’Africa occidentale; il Kazakistan detiene petrolio e gas in Asia centrale”.

Potrebbe però essere andato perso il Centroamerica, già conquistato dalla Cina e la Russia. Daniel Ortega, leader del regime in Nicaragua, ha chiesto sabato scorso di espellere Taiwan come osservatore dell’organizzazione Sistema di Integrazione Centroamericana (Sica) per fare entrare Pechino e Mosca.

Durante un incontro con Luo Zhaohui, capo dell’Agenzia cinese per la cooperazione internazionale allo sviluppo, Ortega ha dichiarato che Taiwan è una “provincia ribelle, diventata base militare degli Stati Uniti […] Il Sica non può continuare ad ammettere Taiwan dentro del suo sistema, questa base militare ‘yankee’ che si chiama Taiwan deve essere ritirata, espulsa dal Sica”.

Il primo Paese membro del Sica nel chiudere i rapporti con Taiwan è stato il Costa Rica nel 2007. È stato seguito da Panama nel 2017, Repubblica Dominicana e El Salvador nel 2018, dal Nicaragua nel 2021 e più recentemente dall’Honduras quest’anno.

Intanto, Glenn Youngkin, governatore della Virginia, Stati Uniti, arriverà in visita a Taiwan nell’ambito di un tour asiatico che prevede tappe anche in Giappone e Corea del Sud. L’ufficio stampa del governatore repubblicano ha spiegato che Youngkin arriverà il 24 aprile e si tratterrà fino al 29 aprile.

Youngkin incontrerà il presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, e altri rappresentanti del governo e di aziende. La missione vuole “rafforzare ulteriormente i legami economici e culturali della Virginia”.

Ugualmente, una delegazione di parlamentari francesi è attesa questa settimana a Taiwan. Joseph Wu, ministro degli Esteri taiwanese, ha confermato la visita, che avviene dopo le polemiche per i commenti del presidente francese Emmanuel Macron sulla riluttanza a farsi coinvolgere in un conflitto nello Stretto di Taiwan.

“La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No – ha detto Macron -. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare seguaci di questo argomento e prendere spunto dall’agenda statunitense e da una reazione eccessiva cinese”. Il grande rischio che l’Europa deve affrontare è che “rimanga invischiata in crisi che non sono le nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica”.

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