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L’economia russa sta scivolando verso una inesorabile recessione, per stessa ammissione dei principali banchieri del Paese. In più quella che è stata fino a questo momento l’unica certezza dell’ex-Urss, il petrolio, sta un poco alla volta venendo meno. Il che proietta la Federazione nella terra di nessuno, dove non si sa se e come riuscirà a continuare a finanziare la guerra. Ci sono una serie elementi che, se messi in serie, possono dare la cifra del potenziale disastro russo. Primo, i continui attacchi dell’Ucraina ai siti di raffinazione russi stanno minando la capacità produttiva del Paese. E se non si raffina, non si vende l’oro nero. E non si incassa. Secondo il Lowy Institute, che ha citato fonti Reuters, che almeno il 17% della capacità di raffinazione russa è in crisi, tanto che Mosca è stata costretta a ridurre la produzione in alcuni terminal di esportazione. E poi c’è la questione cinese, dove l’amicizia fraterna tra Mosca e Pechino, ribadita in occasione delle celebrazioni per gli 80 anni della seconda guerra mondiale, sembra essere messa in discussione dagli eventi.

È vero che Russia e Cina hanno firmato accordi per la fornitura di gas e petrolio per portare 106 miliardi di metri cubi all’anno di metano nel territorio del Dragone, accompagnati da 2,5 milioni di tonnellate aggiuntivi di petrolio attraverso il Kazakistan. Ma è altrettanto vero che i cinesi si stanno approfittando della loro posizione di forza per obbligare i russi a praticare sconti. La prova? Sta nel ripiegamento di quasi l’8%, in valore, dell’export russo verso la Cina quest’anno. E nel drastico crollo delle entrate da idrocarburi, complice il calo dei prezzi al barile, nel primo semestre dell’anno: -35%. I barili, insomma, saranno anche di più, ma il loro valore è di gran lunga minore. Formiche.net ha sentito il parere di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, società italiana indipendente di ricerca in campo energetico e ambientale.

“Sappiamo molto bene, fin dal 2022, che la Russia ha un problema con il petrolio. Da quando l’Europa ha mosso le prime sanzioni contro Mosca, da circa tre anni, si è creato una sorta di mercato grigio del greggio: l’Europa ne ha comprato sempre meno, mentre Cina e India si sono sostituiti agli sbocchi tradizionali”, spiega Tabarelli. “Però il petrolio che comprano dalla Russia i Paesi cosiddetti amici è a prezzo scontato, quindi comunque un problema esiste per Mosca”.

Dunque? “La Russia era legata all’Europa da un cordone ombelicale sotto il profilo energetico. In particolare le esportazioni di gas che erano 150 miliardi metri cubi nel 2021 ma sono scese a 25 l’anno scorso e anche se sono raddoppiati i prezzi, le minori entrate da esportazioni di gas verso l’Europa si fanno sentire. Inoltre ci sono le sanzioni sulle esportazioni di petrolio e derivati. Vero che quei volumi non venduti all’Europa sono andati in Cina e India, ma non tutti, e soprattutto a prezzi molto scontati. Pertanto tutto ciò ha ulteriormente ridotto le entrate”.

Insomma, nel lungo termine le cose potrebbero mettersi male per davvero per Mosca. Quanto al fronte gas, non sono passate inosservate le parole di Alexey Miller, amministratore delegato di Gazprom, che è tornato a minacciare l’Europa, con l’avvicinarsi dell’inverno: con l’arrivo del freddo, il Vecchio continente rischia di rimanere a secco di metano se non avrà sufficienti stoccaggi. “Premessa: l’embargo dell’Ue è sul petrolio e i suoi derivati, ma non sul gas. Dunque ancora ne importiamo piccole quantità, ora è probabile che con il nuovo pacchetto di sanzioni li acquisti di gas residui vengano interrotti. Oggi ne importiamo 18 miliardi di metri cubi, prima della guerra erano oltre 150. Oggi è più che altro la Francia che importa gas, visto che Total partecipa al giacimento di Yamal”, ha chiarito Tabarelli.

“Però l’embargo è tutt’altro che formale, ma sostanziale, specialmente sul petrolio. Ma anche sul gas”. E l’Italia? Troppo dipendente, ancora. “È triste che importiamo ancora 63 miliardi di metri cubi l’anno su una domanda di 66 miliardi di metri cubi e che questo gas provenga spesso da oltre 10 mila chilometri di distanza (anche dagli Usa, ndr), con un costo che si aggira sui 18 miliardi di euro. E questo significa minore Pil e un danno economico per il Paese”.

Per il petrolio russo la Cina non è l'Europa. Tabarelli spiega perché

Da una parte la Cina compra greggio ma a prezzo di saldo, dall’altra l’embargo dell’Europa sulle forniture di Mosca sta funzionando. Il risultato è un crollo delle entrate per il Cremlino. E anche sul gas si potrebbe seguire lo stesso copione. Conversazione con Davide Tabarelli, fondatore di Nomisma Energia

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