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In vista del summit annuale dei leader della Nato, che si terrà a giugno all’Aia (città natia del segretario generale Mark Rutte), Regno Unito, Francia, Germania e Paesi nordici sono impegnati in discussioni informali su un piano di 5-10 anni per assumere maggiori responsabilità per la difesa del continente dagli Stati Uniti. Lo ha rivelato il Financial Times, sottolineando che sul tavolo c’è anche una proposta all’amministrazione Trump per un trasferimento gestito nei prossimi cinque-dieci anni. L’obiettivo è quello di “elaborare un piano per spostare l’onere finanziario e militare sulle capitali europee” e presentarlo agli Stati Uniti prima del summit di giugno.

Nei giorni scorsi Andrew Michta, senior fellow dell’Atlantic Council, aveva evidenziato come la spinta degli Stati Uniti a incrementare le spese per la difesa dei Paesi membri della Nato stia portando a uno spostamento del baricentro dell’alleanza verso il Corridoio Nordorientale (Norvegia, Svezia, Finlandia, Stati baltici e Polonia). Questi Paesi, pur con storie e culture differenti, condividono percezioni comuni sulle minacce e interessi strategici nella deterrenza contro l’aggressione russa. Per questo, il politologo sottolinea la necessità di un quadro di cooperazione difensiva integrato sotto l’egida della Nato e la riconfigurazione delle infrastrutture militari statunitensi in Europa, con l’istituzione di basi permanenti nel Corridoio Nordorientale supportate anche economicamente dai Paesi ospitanti. Inoltre, mette in guardia sui rischi di una possibile rottura del rapporto con la Germania e afferma che, nonostante alcune discussioni in merito al deterrente nucleare francese, nessuna potenza europea può sostituire l’ombrello nucleare statunitense per garantire la sicurezza della regione.

Intanto, lunedì prossimo, 24 marzo, a Riad si incontreranno le delegazioni di Ucraina e Stati Uniti. Ma si terrà anche un nuovo round di colloqui tra russi e americani. Per Keith Kellogg, inviato speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina, il conflitto in Ucraina potrebbe concludersi “in un periodo relativamente breve” grazie agli sforzi del presidente americano Donald Trump. “Continuo a crederci. C’è la possibilità che questa guerra, la più lunga in Europa dalla Seconda guerra mondiale, con centinaia di migliaia di vittime su entrambi i fronti, finisca in un periodo relativamente breve”, ha dichiarato Kellogg al Glenn Beck Program.

Tre giorni dopo gli incontri di Riad il presidente francese Emmanuel Macron ospiterà un nuovo vertice della coalizione dei volenterosi sull’Ucraina. Giovedì a Parigi “finalizzeremo i nostri lavori per sostenere l’esercito ucraino e difendere un modello di esercito duraturo e sostenibile per prevenire invasioni russe”, ha scritto Macron in un messaggio pubblicato su X. L’incontro, a cui è atteso anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, fa seguito a quello dei capi di stato maggiore degli eserciti la settimana scorsa a Parigi e a quello dei vice-capi operativi svoltosi a Londra, ricorda il presidente francese. A Parigi, puntualizza ancora, “definiremo anche le garanzie di sicurezza che potranno fornire gli eserciti europei. Ciò che vogliamo”, sottolinea il presidente, “è proteggere la pace”.

Ieri a Londra si sono riuniti i rappresentanti degli stati maggiori di una trentina di Paesi disposti a collaborare in varia forma a quella che il primo ministro britannico, Sir Keir Starmer, ha delineato nelle scorse settimane come “una coalizione di volenterosi” decisi a tutelare Kyiv nel dopoguerra. Questo, nelle parole del viceministro britannico della Difesa, Luke Pollard, l’obiettivo: iniziare “la pianificazione militare” di una possibile operazione di peacekeeping in Ucraina che il Regno Unito e la Francia progettano di guidare dopo un eventuale cessazione delle ostilità con la Russia e a patto di ottenere dagli Stati Uniti la copertura di garanzie di sicurezza ad hoc (opzione da cui l’Italia si è pubblicamente chiamata fuori, a meno di un mandato Onu). Pollard ha ribadito che Londra pensa a una missione di peacekeeping che possa comprendere militari sul terreno, aerei nei cieli e l’appoggio di unità della marina per garantire “una pace duratura in Ucraina”. Serve una forza “credibile”, ha ripetuto alla Bbc, per scoraggiare Mosca, “poiché sappiamo che il presidente [Vladimir] Putin non ha per ora firmato alcun accordo e in passato ne ha violati diversi”; ma serve anche, ha aggiunto, “un essenziale backstop” americano.

In un recente report per l’Institute for European Policymaking della Bocconi University, Andrea Gilli, Mauro Gilli e Niccolò Petrelli evidenziano come tra le varie opzioni quelle più percorribili dai Paesi europei siano una missione di peace enforcement, assistenza o sostegno non-combat e una forza di risposta rapida per essere pronti a un’eventuale ripresa delle ostilità una volta cessato il fuoco. Ma, “data la probabile opposizione interna a molte delle opzioni discusse, i Paesi europei dovrebbero probabilmente cercare sia di perseguire una risoluzione delle Nazioni Unite per legittimare l’operazione di peace enforcement, sia di coinvolgere Paesi non europei come l’Australia o il Giappone, ma soprattutto del cosiddetto Global South”, si legge nel documento dal titolo “How to defend Ukraine”.

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