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La premier italiana Giorgia Meloni “ha affermato la volontà dell’Italia di rafforzare la cooperazione bilaterale con l’Egitto, in un modo che apra orizzonti costruttivi e realizzi gli interessi comuni dei due Paesi e popoli amici”, secondo quanto riferito dal portavoce della presidenza egiziana. Sicurezza energetica, crisi climatica e contesto securitario regionale sono stati i temi trattati nell’incontro di circa un’ora che la presidente del Consiglio ha avuto con il capo di Stato egiziano, Abdel Fattah al Sisia latere della COP27, la conferenza globale sul Clima che in questi giorni è ospitata a Sharm el Sheikh.

D’altronde, come spiegano dall’Egitto, “l’Italia e il continente europeo sono considerati come un pilastro-cardine di sicurezza e stabilità in Medio Oriente e nel Mediterraneo”. Per Matteo Colombo, ricercatore del think tank olandese Clingendael, Italia ed Egitto sono due Paesi fondamentali per l’architettura generale del Mediterraneo allargato, e “non possono non parlarsi”. Il commento è scollegato dalle polemiche che il vertice Meloni-Sisi si è portato dietro in Italia, dove i partiti di opposizione hanno sfruttato l’occasione per attaccare il nuovo esecutivo.

Meloni è stata la prima premier italiana a incontrare Sisi in Egitto dopo che nel 2016, nella capitale egiziana, fu ritrovato ucciso Giulio Regeni – morto in circostanze non ancora chiarite, anche per la scarsa collaborazione della giustizia del Cairo, legata al probabile coinvolgimento degli apparati di sicurezza nell’assassinio del giovane ricercatore. Ed è stata questa la particolarità di un incontro che tuttavia – al di là della formalità – ha seguito la traiettoria di relazioni diplomatiche che non si sono mai rotte tra Italia ed Egitto proprio per quelle rispettive centralità a cui accennava Colombo. Anche Giuseppe Conte aveva incontrato il presidente egiziano, seppur non durante una visita ufficiale in Egitto, ma d’altronde, sarebbe stato abbastanza irrituale non incontrare in questa occasione il leader del Paese organizzatore di una conferenza multilaterale come la COP.

“L’Italia può continuare a esercitare pressioni sulle vicende Regeni e Zaki, anche se probabilmente doveva esercitarle con maggiore forza in precedenza, ma è impensabile non continuare a tenere un rapporto con l’Egitto: basta semplicemente pensare che un arabo su quattro è egiziano”, spiega Colombo in una conversazione con Formiche.net. L’aspetto demografico è un paradigma della centralità egiziana in una regione in cui l’Italia proietta la propria politica internazionale. “La posizione strategica è insostituibile, per Suez e perché l’Egitto è il Paese che dal Nordafrica fa da ponte col mondo del Golfo, ossia è lo snodo dell’area MENA”, aggiunge.

Il Cairo è anche recettore di diversi investimenti italiani, con le aziende che negli ultimi anni hanno avuto un ruolo nello sviluppo urbano di aree come quella metropolitana della capitale. Uno sviluppo che secondo Colombo potrebbe anche essere andato oltre il sostenibile, tanto che un rallentamento sta diventando necessario per non rischiare perdite di valore. “L’Egitto – continua – ha bisogno di un cambio della strategia economica: lo sviluppo del settore edile e delle infrastrutture permette lavoro facile, anche a persone non scolarizzate, ma per l’economia egiziana ora è necessaria la creazione di un comporto manifatturiero. Su questo cerca sponde”.

L’Egitto è dipendente in modo eccessivo dalle importazioni, e su questo pesa l’inflazione. È un Paese che spende come se avesse indipendenza strategica, ma in realtà dipende fortemente dagli investimenti esteri perché non ha una forza economica tale per auto-sostenersi. Un esempio riguarda la questione alimentare: molte delle materie prime sono calmierate, il pane è sottoposto a sussidi, ma tutto ciò che entra in Egitto con l’import ha avuto un aumento dei prezzi. Ed essendo l’industria agricola, manifattura e zootecnica egiziana non particolarmente sviluppate, ciò che importa è tanto.

“Molti dei sussidi e delle misure per calmierare i prezzi sono prodotte a debito – spiega Colombo – e questo permette al Cairo di gestirsi nel breve periodo, ma di rischiare nel lungo termine. Il Cairo ha ancora bisogno di investimenti stranieri per andare avanti, ed è vero che sono arrivati fondi dal Golfo (investimenti semi-congiunti da Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Sauditandr), ma nel lungo periodo potrebbero non essere sufficienti”. Colombo fa un esempio che riguarda l’Italia: “Nel nostro Paese arrivano circa due-tre miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto esportato dall’Egitto: in futuro questa quantità potrebbe aumentare proprio perché l’Egitto ha bisogno di valuta estera, ma allo stesso tempo per l’Italia si creerebbe un’ulteriore fonte di differenziazione energetica. Oltretutto da un Paese in cui Eni è particolarmente attiva”.

Quello degli investimenti è un tema che si lega alla conferenza in corso, che per il Cairo ha un valore politico più che tecnico. “Il governo egiziano ha dimostrato attenzione relativa ai temi climatici (come dimostra la spinta all’edilizia e alcuni investimenti turistici anche in aree dove c’erano problemi ecologici). Ma dalla COP27 sono usciti incontri bilaterali, come quello con Meloni, che hanno fatto del Cairo un hub diplomatico internazionale”, commenta Colombo.

Tra l’altro, spiega il ricercatore, uno dei settori che l’Egitto sta lanciando è quello delle start-up: “Hanno tredici cavi sottomarini che tagliano Suez, e quindi hanno un’infrastruttura per spingere il settore ICT. L’idea del governo è attirare ulteriore capitale umano” per sviluppare un settore che nel mondo arabo sta avendo una spinta rinnovata. Il Cairo sta cercando sponde sia in Europa e Stati Uniti che a Est, con Cina e India, o Corea del Sud, che sono già molto attive. Per esempio, ad agosto l’Agenzia egiziana per lo sviluppo dell’industria della tecnologia dell’informazione e la cinese Huawei hanno stretto un accordo per cooperare nei settori dell’intelligenza artificiale, della gestione dei dati, del gaming e dell’e-commerce. Nove miliardi di dollari potrebbero arrivare al Cairo dalla ReNewEnergy indiana, che ha già un MoU per un impianto a idrogeno verde lungo la zona economica di Suez.

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