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I ministri degli Esteri dell’Arabia Saudita e dell’Iran si sono incontrati a Pechino per la prima volta giovedì, dopo che i Paesi rivali hanno concordato di ripristinare le relazioni diplomatiche in un accordo siglato anch’esso nella capitale cinese. Intesa che ormai sia iraniani che sauditi chiamano “Accordo di Pechino”, ossia conferiscono l’identità cinese a quell’avvicinamento destinato a segnare l’andamento futuro delle relazioni regionali in Medio Oriente.

Narrazioni e interessi

Dopo la firma dell’intesa, la Cina sta cercando di facilitare anche un’implementazione pratica che possa garantirle non solo di avere un ruolo di influenza in queste dinamiche – e dunque nella regione mediorientale – ma anche di usare la vicenda come uno dei vettori per spingere le ambizioni globali del leader Xi Jinping. Secondo una dichiarazione congiunta riportata dall’agenzia di stampa iraniana Irna, i due alti funzionari governativi hanno dichiarato di voler avviare il processo di riapertura delle ambasciate nei rispettivi Paesi e di voler proseguire la cooperazione su questioni economiche e di sicurezza.

Era un passaggio previsto, sebbene velocizzato. I Paesi avvieranno inoltre le procedure per la ripresa dei voli e degli scambi culturali e commerciali. È in previsione anche la riapertura dei consolati nella città nord-orientale iraniana di Mashhad e in quella saudita di Jeddah. “Le due parti hanno concordato di espandere la cooperazione in ogni campo che possa aiutare la sicurezza e la stabilità della regione e soddisfare gli interessi delle sue nazioni e dei suoi Paesi”, si legge nel comunicato.

Sicurezza e stabilità

La dichiarazione tocca leve particolari. Sicurezza e stabilità sono due temi enormi tra Riad e Teheran. Per anni, iraniani e sauditi hanno portato avanti uno scontro a media-bassa intensità all’interno della regione, sensibilizzato da dossier in cui si sono affrontati per procura. Per esempio la guerra civile in Siria, dove l’Iran ha sposato la causa del regime assadista e i sauditi hanno finanziato i tentativi di rovesciamento dei ribelli. Qualcosa di simile avviene ancora in Yemen, dove gli iraniani finanziano militarmente i ribelli Houthi, che sono in guerra contro il governo centrale di Sanaa protetto da una coalizione guidata da Riad.

Teheran, secondo la Cina, avrebbe accettato di fermare il finanziamento militare degli yemeniti – finanziamento che di fatto gli iraniano non hanno mai ammesso. E secondo fonti saudite, sulla drammatica situazione in Yemen potrebbero esserci “presto novità” riguardo all’estensione fino a fine anno della tregua e alla costruzione di una road map per la stabilizzazione che possa portare in fretta alla riapertura dell’export petrolifero molto importante per il Paese.

Gestione delle divisioni

La questione yemenita potrebbe essere un passaggio importantissimo per l’accordo e per le relazioni tra i due Paesi. L’Arabia Saudita e l’Iran hanno concordato di ripristinare i legami diplomatici dopo che la faglia che ha diviso i due Paesi – segnata dalle divisioni ideologiche e geopolitiche tra le due potenze del mondo islamico – è durata sette anni. Tuttavia, l’Accordo di Pechino non ha lo scopo di obliterare le divisioni: Teheran e Riad hanno visioni strategiche divise e competitive, e resteranno tali.

Solo che con l’intesa targata Cina si cercherà di trovare il modo per gestirle evitando escalation ad alta, bassa, media intensità. L’accordo invia anche il messaggio riguardo alla volontà cinese di perseguire una proiezione di potenza in Medio Oriente al di fuori della sfera economica, parte della sua aspirazione generale di raggiungere una portata globale più ampia e diventare un’alternativa all’Occidente come modello di riferimento. L’accordo in sé dimostra inoltre come il Medio Oriente continui a essere il centro di costruzione di alcuni cambiamenti e tendenze di carattere internazionale e globale.

Il ruolo di Pechino

E qui Pechino avrà la necessità (l’obbligo?) di giocare il suo ruolo, in qualche modo come garante dell’intesa. La Cina ha mediato l’accordo firmato a marzo dopo aver ospitato vari incontri segreti, e sfruttando un lavorio diplomatico durato anni tra le cancelliere di Oman e Iraq. Quello di Pechino è considerato un segnale della volontà di espandere il proprio peso diplomatico in una regione che tradizionalmente fa parte della sfera di influenza degli Stati Uniti. L’accordo è arrivato mesi dopo la visita di Xi in Arabia Saudita e il primo vertice sino-arabo.

Xi ha ricevuto un’accoglienza sontuosa a dicembre, in netto contrasto con l’accoglienza poco attenta riservata a Joe Biden nel luglio scorso. Biden ha detto ai leader arabi che Washington non si sarebbe fatta da parte per permettere a Cina, Iran e Russia di soppiantare gli Stati Uniti nella regione, fornendo garanzie su impegni e presenza. Ma la sua amministrazione è portatrice di un messaggio riguardo ai diritti umani e civili che per alcuni di quei Paesi è considerato al limite di un’ingerenza negli affari interni.

Iran e Arabia Saudita di nuovo in Cina per spingere l’Accordo di Pechino

La mediazione cinese tra Iran e Arabia Saudita si muove in avanti, anche più veloce del previsto. Per anni, iraniani e sauditi hanno portato avanti uno scontro a media-bassa intensità all’interno della regione. L’intesa non ha il compito di risolvere le divisioni irano-sauidite, ma di costruire spazi per gestirle

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