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Il capo di Stato somalo, Hassan Sheikh Mohamud, è convinto che questo in corso sarà l’assalto definitivo per sconfiggere definitivamente al Shabaab, gruppo che combina il jihadismo salafita con il nazionalismo somalo, attivo nel Paese e in espansione nella regione del Corno d’Africa, contro cui Mogadiscio combatte da oltre un decennio.

Narrazioni e interessi

In un’intervista al Financial Times ha spiegato che l’operazione lanciata contro le milizie collegate ad al Qaeda potrebbe richiedere anni per debellare definitivamente l’ideologia jihadista dal suo Paese, ma dal punto di vista del controllo territoriale dovrebbe riuscire a riportare sicurezza in Somalia con l’offensiva miliare che potrebbe portare alla sconfitta o alla resa il gruppo.

La lotta contro il gruppo terroristico è una priorità assoluta nell’agenda di Sheikh Mahamud, come hanno spiegato funzionari somali in briefing riservati a cui ha partecipato anche Formiche.net. La presenza del gruppo è un fattore di destabilizzazione che il governo somalo vuole risolvere per assicurarsi ritorno nei consensi.

L’offensiva

Le forze governative stanno guadagnando terreno contro i militanti da agosto, dopo aver lanciato la più significativa offensiva a guida somala contro al-Shabaab da quando i jihadisti hanno iniziato la loro campagna di terrore 15 anni fa. Il governo somalo ha stretto alleanza con alcune milizie locali, fornendogli supporto nella contro-insurrezione. Ma lo scoglio del Jubaland e del Sud-ovest del Paese, le roccaforti del gruppo, resta un’incognita.

Mogadiscio riceve supporto dai Paesi dell’Unione africana, che contano un totale di 20mila uomini in Somalia, ma che dovrebbero lasciare il Paese nel 2024 – e forse anche a questo si legano le dichiarazioni di Sheikh Mahamud, che non vuole perdere sostegno in una fase potenzialmente determinante. La Somalia è assistita anche da droni e forze speciali di Stati Uniti e Turchia. La presenza americana è stata voluta dall’amministrazione Biden, invertendo lo scorso anno la decisione presa da Donald Trump di ritirare le truppe da quel territorio – una mossa sempre contestata dal Pentagono.

Il contesto

La Somalia è un Paese tanto nevralgico – per dimensione geostrategica – quanto in difficoltà. I suoi 17 milioni di abitanti stanno soffrendo la peggiore siccità degli ultimi decenni. Ciò ha alimentato un’emergenza umanitaria e una crisi alimentare per più di un terzo della popolazione, con milioni di persone sull’orlo della carestia. La sconfitta dei jihadisti che hanno seminato terrore e sangue in varie zone del Paese, compiendo attacchi anche nella capitale, sarebbe una boccata d’aria per Hassan Sheikh e pure per i suoi alleati occidentali – per primi gli Stati Uniti.

Obliterare le capacità militari di Shabaab potrebbe infatti servire da manifesto per le capacità delle operazioni occidentali di controllare il contesto securitario: un successo che andrebbe contro la narrazione russa. Mosca ha usato le difficoltà nella dimensione sicurezza di alcuni Paesi per incunearsi con operazioni di influenza condotte attraverso la società Wagner Group. I contractor russi hanno promesso a diversi governi e giunte autoritarie al potere in vari Paesi africani di fornirgli sicurezza contro i vari gruppi armati in modo più efficace – e più disinvolto – di quanto fatto da Usa e Paesi Ue.

Cuori e menti

Il lavoro che sta portando avanti il governo somalo è complesso. Se da un lato c’è l’offensiva militare, dall’altro c’è un’operazione di dissuasione all’interno delle collettività e direttamente contro il gruppo. Per esempio, una delle figure apicale di al Shabaaab, Mukhtar Robow, è stato assunto all’interno del caminetto ministeriale di Sheikh – con l’incarico di seguire gli affari religiosi. E questo ha prodotto una forma di negoziazione, con Robow che ha accettato un alleggerimento delle posizioni più radicali – e iniziato un lavorio sui chierici più estremisti.

Allo stesso tempo, con una campagna comunicativa di contro-propaganda, il governo sta cercando di consapevolizzare la popolazione sulle negatività dell’ideologia jihadista predicata dagli Shabaab. Alcuni risultati stanno arrivando, con diverse comunità che si sono ribellate al controllo territoriale dei miliziani, accusandoli dell’incapacità di gestire la situazione – nello specifico l’emergenza idrica. Questo è interessante, perché in alcune zone del Sahel sta succedendo l’opposto, dove i fenomeni climatici – su tutti gli effetti sulla siccità – sono usati come gancio nella predicazione dei gruppi radicali, addomando le colpe di ciò che accade agli “infedeli”.

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