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Checché ne dicano Romano Prodi e i suoi fan, anche per l’Ulivo – come per altre grandi esperienze politiche del passato – non si può pensare a repliche più o meno abborracciate. E questo non solo perché ogni progetto politico è figlio del suo tempo ma anche per alcune varianti politiche e culturali che sono nel frattempo intervenute e che si sono consolidate. Il progetto dell’Ulivo, del resto, era nato dalla capacità di saper costruire una coalizione plurale e autenticamente riformista e di governo. E, soprattutto, dalla convergenza tra la cultura riformista espressa dalla miglior tradizione cattolico popolare sociale e dal pensiero socialdemocratico e di governo declinato dalla cultura post comunista, socialista e laica del nostro paese. Il tutto culminato in un progetto che non lasciava nulla al caso e che, soprattutto, era interpretato da una classe dirigente autorevole, qualificata e percepita come tale dalla stragrande maggioranza della pubblica opinione.

Certo, i partiti che si riconoscevano nel progetto ulivista erano uniti da una comune visione progettuale e di governo e, attraverso un paziente lavoro di mediazione e di cucitura politica di alcuni leader di partito dell’epoca – a cominciare, sul versante cattolico popolare, da Franco Marini e Gerardo Bianco – riusciva a frenare le spinte radicaleggianti ed estremiste che, comunque sia, serpeggiavano qua e là in alcuni settori della coalizione. Ma, soprattutto, non c’era una concezione radicale, estremista e massimalista dei principali partiti di quell’alleanza. Certo, in quel tempo non campeggiava ancora la concezione riconducibile alla cosiddetta “vocazione maggioritaria” del principale partito della sinistra italiana e quindi era del tutto normale costruire quella che rispondeva alla concezione della “cultura della coalizione”. Una concezione, questa, che affondava le sue radici nella miglior tradizione democratico e Cristiana riassunta con poche parole da Mino Martinazzoli che ricordava, sempre, che “in Italia la politica è sinonimo di politica delle alleanze”.

Ho voluto ricordare alcuni aspetti della stagione ulivista per arrivare alla conclusione che oggi quelle caratteristiche politico e culturali sono semplicemente alle nostre spalle. È sufficiente citare un solo esempio, forse il principale, per decretare che la stessa cultura ulivista non è affatto riproponibile. E cioè, la strategia politica del principale partito della sinistra Italia, il Partito democratico, coltiva una prospettiva del tutto diversa da quella perseguita in quei tempi dai Ds. La torsione radicale, libertaria, massimalista ed estremista intrapresa dalla nuova leadership di quel partito dopo il plebiscito delle recenti primarie ottenuto da Elly Schlein, conferma che da quelle partii costruire una “cultura della coalizione” è alquanto complicato ed impervio.

Come, specularmente, l’assenza oggi di un soggetto politico riformista e di governo come il Ppi dell’epoca o la Margherita, blocca alla partenza il decollo di una alleanza autenticamente di governo. Certo, è del tutto naturale, nonché ovvio, che anche da sinistra si lavora per costruire una alternativa di governo alla destra democratica e di governo interpretata, oggi, da Giorgia Meloni. Ma si tratta di una coalizione del tutto diversa e forse anche alternativa rispetto all’esperienza del’Ulivo della fine degli anni ‘90 e dei primi anni duemila. Oggi, com’è evidente a tutti, prevalgono le spinte massimaliste e populiste interpretate in modo organico e coerente dal Pd versione Schlein e dal partito di Conte e di Grillo. Con tanti saluti alla cultura di governo, alla cultura della mediazione, alla cultura riformista e al rifiuto della radicalizzazione che avevano caratterizzato la miglior stagione dell’Ulivo nel nostro paese.

Ecco perché, anche su questo versante, non si può vivere di ricordi e di nostalgie. Ed ecco perché, oggi più che mai, è necessario ricostruire un “partito di centro” che sappia declinare, altrettanto credibilmente, una “politica di centro” che sia in grado di dar vita a coalizioni che non fanno della radicalizzazione politica e della polarizzazione ideologica la loro ragion d’essere. Un compito, questo, che forse spetta ancora una volta alla tradizione cattolico popolare e cattolico sociale contro tutti gli estremismi e i massimalismi che rispuntano all’orizzonte. Per la qualità della nostra democrazia e la credibilità delle nostre istituzioni democratiche.

L’Ulivo non c’è più. Si deve ripartire dall’inizio. Scrive Merlo

Oggi più che mai, è necessario ricostruire un “partito di centro” che sappia declinare una “politica di centro” e che sia in grado di dar vita a coalizioni che non fanno della radicalizzazione politica e della polarizzazione ideologica la loro ragion d’essere. Il commento di Giorgio Merlo

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