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Nel 2022 la Turchia ha arrestato e deportato centinaia di uomini e giovani siriani, costringendoli a detenzioni arbitrarie e al rimpatrio forzato verso il nord della Siria, secondo un rapporto di Human Rights Watch ripreso dal Washington Post.

Percosse e abusi di vario genere da parte dei funzionari turchi, prima di attraversare il confine verso la Siria sotto la minaccia armata degli stessi. Questo è il tenore dei racconti di decine di rifugiati intervistati dall’organizzazione umanitaria.

Il quadro è quello del generale deterioramento delle relazioni tra la popolazione turca, sempre più pervasa dal nazionalismo, e i quattro milioni di profughi siriani presenti nel Paese, scappati dalla guerra iniziata nel 2011 e inizialmente accolti. Negli ultimi anni i Siriani sono stati il capro espiatorio perfetto per una serie di problemi, su tutti la recessione economica che colpisce la Turchia già da prima della pandemia da Covid-19. Soprattutto i partiti di opposizione fanno leva sulla rabbia dei cittadini puntando il dito contro la decisione di Recep Tayyip Erdogan di accogliere questa marea di persone.

Secondo Human Rights Watch, quanto sta avvenendo è una vera e propria violazione del diritto internazionale, anche se il capo dell’agenzia turca per l’immigrazione, Savas Unlu, ha commentato le conclusioni del rapporto come “prive di fondamento” e ha affermato che Ankara sta rispettando le leggi nazionali e internazionali. Così Human Rights Watch: “le deportazioni avvenute in primavera e in estate rappresentano un netto contrasto con la generosità della Turchia, che ospita un numero di rifugiati superiore a qualsiasi altro Paese del mondo e quasi quattro volte superiore a quello dell’intera Unione Europea”.

Il presidente Erdogan ha difeso pubblicamente i rifugiati, ma ha anche giurato di reinsediarne un milione nella zona settentrionale del Paese confinante, affermando che la scelta sarà volontaria. Nel rapporto si legge che i profughi sono stati costretti a firmare moduli che non hanno potuto leggere, mentre altri riferiscono che quanti si rifiutavano di firmare venivano picchiati dalla polizia. A quanto sembra questi moduli sarebbero il consenso al rimpatrio.

Le zone del nord in Siria sono oggi controllate dall’opposizione al regime di Assad, ma non per questo sono da considerare sicure. Anzi, l’intera Siria rimane ad oggi un luogo altamente instabile, con frequenti scontri armati tra fazioni per il controllo del territorio e delle risorse, e numerosi attentati di matrice islamista. Il principio di non respingimento, disciplinato dal diritto internazionale, prevede che uno Stato non possa far tornare un migrante in un luogo in cui si troverebbe ad affrontare un rischio reale di persecuzione, tortura o altri maltrattamenti, o minacce alla vita.

Già nel 2019 la situazione dei profughi in Turchia era peggiorata, dato che in occasione di elezioni locali la popolazione aveva espresso profonda insofferenza sulla questione. Da allora Ankara ha cominciato a deportarne porzioni sempre più consistenti. I rifugiati intervistati per il rapporto riferiscono che questa situazione costringe la grande maggioranza degli immigrati siriani a vivere chiusi in casa, limitando il più possibile i contatti con la popolazione e le autorità turche.

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