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I social network sono diventati un elemento centrale nella vita delle persone, soprattutto dei giovani e influenzano le interazioni sociali, la percezione di sé e il benessere emotivo. Alcune ricerche di Ipsos su campioni di giovani di età compresa tra i 14 e i 20 anni (1200 persone intervistate) aiutano ad analizzare alcune dinamiche in atto. Un primo aspetto riguarda la ricerca del riconoscimento sociale. Le persone assegnano una forte importanza ai parametri quantitativi dei social: il 64% considera importante avere molti amici o follower; il 62% attribuisce valore ai like ricevuti sui propri post e il 63% alle visualizzazioni delle proprie story. Tra i giovani – e anche tra gli adulti – si è insediata una cultura della metrica del successo in cui il valore personale è determinato da like, cuoricini, follower e visualizzazioni.

L’esposizione continua e la quantificazione delle interazioni sono diventate la “valuta” attraverso cui si soppesa il valore di sé, mentre le interazioni sociali si sono trasformate in una ricerca dell’applauso e in una permanente messa in scena di se stessi, per catturare e gestire il giudizio degli altri. I social network, pertanto, hanno trasformato la vita di alcune persone in una continua rappresentazione di sé, in una costruzione performativa della propria identità. Il 59% dei giovani ritiene importante mettere in mostra sui social le cose che si fanno, specie quelle diverse dagli altri, mentre il 51% è colto dalla bramosia del post immediato su qualunque delle proprie attività.

Un secondo aspetto significativo dell’esperienza sui social è l’emergere di una dissonanza tra identità reale e virtuale, tra come le persone si descrivono negli incontri face to face e come desiderano apparire sui social. Di seguito alcuni esempi: il 19% dei giovani si descrive come “originale” negli incontri quotidiani con gli altri, mentre sui social il dato sale al 35%; il 20% negli incontri face to face vuole mostrarsi “sicuro di sé”, mentre online sale al 28%. Distonie si manifestano anche sul desiderio di apparire più allegri (39% nei social rispetto al 35% vis à vis), di mostrarsi affascinanti (18% virtualmente contro 8%), di essere trendy (25% vs 5%), di essere una persona di successo (13% contro 5%) o forte (13% contro 2%). C’è anche la tendenza a nascondere alcuni tratti di sé, come l’essere emotivi/ sensibili (9% sui social vs 35% faccia a faccia), pensierosi/riflessivi (6% online vs 27% negli incontri face to face) o riservati (13% vs 25%). Una discrepanza che porta alla luce una pulsione al simulacro (per dirla con il filosofo Jean Baudrillard): i social diventano uno spazio in cui proiettare un’immagine idealizzata di sé, un mondo in cui la rappresentazione sostituisce la realtà, creando una iperrealtà in cui il confine tra vero e falso si dissolve.

La spinta alla rappresentazione costante di sé e allo storytelling identitario conduce non poche persone verso forme di disallineamento emotivo, alimentando il senso di inadeguatezza o insicurezza. Non a caso si registrano, specie tra gli iperconnessi, emozioni negative e forme di ansia da esclusione. Il 68% considera importante non perdere le storie e le attività dei propri amici; il 46% si sente nervoso se vede i suoi amici condividere delle attività interessanti senza di lui e il 34% dei giovani prova ansia, rabbia, tristezza, paura o disgusto se non riesce a controllare le notifiche dei propri amici. La chiamano Fomo (Fear of missing out), la paura di essere tagliati fuori. Essa in realtà è anche una forma di alienazione da social, è una estraniazione, uno spossessamento della persona da sé, avvolta nella gabbia delle convenzioni da narrazione social; presa nella spirale dello smarrimento, in cui si preferisce l’apparire a l’essere autentico di sé.

Queste dinamiche, ovviamente, non sono prive di ricadute. Il 39% dei giovani sperimenta emozioni negative dopo aver passato molte ore sui social; il 43% che denuncia sensazioni di tristezza e solitudine; il 63% avverte forme di turbamento e irrequietezza, mentre il 38% si sente insicuro e geloso verso gli altri. E così i social network da strumento amplificatore delle opportunità di connessione con gli altri, divengono i propulsori di nuove forme di isolamento e di senso d’inadeguatezza. Le persone sui social rischiano di essere “sole insieme”, costantemente connesse ma emotivamente isolate. Il 32% dei giovani che passa molto tempo sui social si sente più solo rispetto alla vita reale, mentre il 25% si sente più triste e il 37% più annoiato.

Siamo di fronte alla solitudine come paradosso dell’iperconnessione. I social network divengono una sorta di gabbia dorata, in cui le persone sono costantemente con gli altri ma anche emotivamente distanti dagli altri, inserite in un turbine di relazioni fragili e volatili. La relazione tra le persone e i social è attraversata da profonde tensioni tra connettività e autenticità, tra desiderio di unicità e conformismo, tra auto-espressione e auto-oggettivazione. I social network offrono spazi di sperimentazione sociale e culturale, ma sono anche intrinsecamente ambivalenti, portatori di opportunità e di rischi per il benessere emotivo e identitario. La ricerca di riconoscimento sociale, la dissonanza tra identità nell’esperienza vis à vis e virtuale, nonché le emozioni negative legate all’uso delle piattaforme digitali, sono le contraddizioni dell’accelerazione sociale contemporanea. La costante connettività e la pressione per la visibilità generano forme di ansia e inadeguatezza, alimentando nuove solitudini e, soprattutto, una crescente alienazione delle persone dal mondo e da se stesse.

Formiche 212

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I social network offrono spazi di sperimentazione sociale e culturale, ma sono portatori di opportunità e di rischi per il benessere emotivo e identitario. La ricerca di riconoscimento sociale e la dissonanza tra identità nell’esperienza reale e virtuale sono le contraddizioni dell’accelerazione sociale contemporanea. La connessione diventa paradosso, trasformando la rete in una gabbia dorata. L’analisi di Enzo Risso, direttore di Ipsos

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