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Dopo l’incredibile scontro di due settimane fa andato in scena alla Casa Bianca tra il presidente statunitense Donald Trump e il suo vice JD Vance e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sembrava che la guerra in Ucraina fosse avviata verso un crinale molto preoccupante. Ora, invece, dopo i colloqui che si sono tenuti a Gedda e le prime aperture mostrate dalla Russia, sembra che ci siano i presupposti per una conclusione delle ostilità tra Kyiv e Mosca.

Per analizzare la situazione attuale, innanzitutto occorre guardare in faccia la realtà: dal punto di vista strettamente militare e delle forze sul campo, la Russia ha sostanzialmente avuto la meglio. Idealmente, avremmo tutti preferito che l’esercito ucraino fosse riuscito a riconquistare i territori sottratti dall’esercito di Mosca, ma le forze in campo erano impari e solo gli aiuti occidentali hanno impedito probabilmente che la Russia riuscisse a giungere fino a Kyiv rendendo l’Ucraina uno Stato fantoccio.

Preso atto della situazione e dell’equilibrio delle forze sul campo (anche perché gli Stati Uniti hanno sostanzialmente costretto l’Ucraina ad accettare la resa militare per non perdere il sostegno finanziario e militare), occorre adesso adoperarsi per raggiungere una pace durevole, che sia il più possibile in linea con i principi delle democrazie liberali occidentali e soprattutto con il diritto internazionale. Nel corso di questi tre anni di conflitto, a queste regole sono state concesse già troppe deroghe, facendo agio sui principi di inviolabilità delle frontiere e del rispetto dell’integrità territoriale degli Stati sovrani, che fino a pochi anni fa sembravano sacri e universalmente accettati dalla comunità internazionale, mentre dopo quello che ha fatto la Russia sono diventati improvvisamente negoziabili. È dunque fondamentale che la pace che verrà negoziata tra Kyiv (o, per meglio dire, Washington) e Mosca ribadisca l’importanza di questi principi, seppur nel quadro di alcune inevitabili concessioni alla Russia, per evitare che quanto accaduto si trasformi in un pericoloso precedente che autorizzi anche altri Paesi a seguire questa strada per risolvere dispute territoriali con gli Stati confinanti.

In secondo luogo, occorre ammettere anche che il conflitto tra Russia e Ucraina non è stata una semplice guerra regionale, focalizzata sulla contesa di alcune province di lingua russofona, ma che in fin dei conti è stata (quasi) una terza guerra mondiale non dichiarata che finirà per ridefinire le sfere di influenza globali. A vario titolo, infatti, sono state coinvolte quasi tutte le principali potenze globali: gli Stati Uniti e la Nato (comprendendo ovviamente l’Unione europea e i suoi Stati membri e la Turchia), l’Arabia Saudita, la Cina, hanno tutti avuto un ruolo più o meno rilevante nel sostenere l’una o l’altra parte in causa o tentando di ergersi come possibile mediatore. È dunque importante che la trattativa avvenga in questa cornice internazionale, in modo da dare più forza al rispetto dei principi su cui si basa il diritto internazionale odierno e ogni Paese coinvolto venga responsabilizzato verso il mantenimento della pace e della stabilità.

Infine, quale futuro ci potrà essere per la Nato? Evitando disfattismi e cercando di filtrare le dichiarazioni di Trump al netto della sua durezza e mancanza di tatto diplomatico, è possibile che nei prossimi anni ci sarà più Nato, non meno Nato. Infatti, la presa di consapevolezza dell’Unione europea e del Regno Unito sulla necessità di rafforzare le proprie capacità difensive lascia ben sperare verso un’alleanza atlantica nella quale la distribuzione di forze e compiti sarà più equilibrata. Il piano ReArm Europe, al di là dei nomi e delle formule, delinea in modo positivo l’intenzione europea di contare di più nel mondo e di essere più autorevole attraverso una migliore capacità di difesa e risposta alle minacce esterne. Il come andrà ancora visto alla prova dei fatti anche in base alle risorse finanziarie che saranno messe effettivamente in campo.

Per l’Italia e il proprio comparto della Difesa, con Leonardo e Fincantieri in testa, si tratta di una opportunità importante per giocare un ruolo a livello politico ed economico: ecco perché il governo dovrebbe cercare di guidare questo processo e non restare al traino degli altri grandi Paesi europei.

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