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L’intensificarsi dei bombardamenti russi sugli obiettivi civili ucraini, le minacce alla sovranità delle repubbliche baltiche, le operazioni “politiche” volte all’asservimento della Georgia… Ohibò, ma che fine hanno fatto i pacifisti italiani? Non i cerchiobottisti, non quelli che vagheggiano un’irrealistica terza via tra Biden e Putin, ma quelli che nel condannare l’aggressore si schierano naturalmente con l’aggredito. Ebbene, sono pochi. E, a differenza dei cerchiobottisti e dei putiniani di complemento, non sono affatto organizzati.

Giova, dunque, ricordare cosa fu il “pacifismo” italiano negli anni della Guerra Fredda. Lo ha fatto, magistralmente, giovedì scorso l’ex ministro dell’Interno del Pd Marco Minniti presentando il bel libro di Giulia Pompili e Valerio Valentini sulle ingerenze di Russia e Cina. Un libro dal titolo emblematico: “Al cuore dell’Italia”.

Minniti ha ricordato l’entusiasmo con cui, da giovane militante del Pci, negli anni Ottanta aderì alle manifestazioni “pacifiste” contro all’installazione degli Euromissili come deterrente agli SS20 sovietici puntati sull’Europa. L’ha messa, grossomodo, così: “Era tutto molto eccitante, mi sentivo dalla parte giusta della storia. Contro la guerra, contro le armi e contro i missili della Nato. Inequivocabilmente in favore della pace. Non avevo dubbi, avevo solo certezze. Certezza rafforzate dalla mobilitazione di una quantità di associazioni del mondo civile, di giornali, di intellettuali, di riviste e persino dallo schierarsi al nostro fianco di ben cinque generali della Nato. Capii tardi, troppo tardi, che molte di quelle associazioni, di quei giornali, di quegli intellettuali e di quelle riviste, come del resto tutti e cinque i generali della Nato, erano pagati dall’Unione sovietica”.

Minniti sembra parlare perché Schlein intenda, e le sue parole hanno il valore del monito. I metodi odierni dell’ex tenente colonnello del Kgb Putin sono gli stessi dell’Unione sovietica di allora. Oggi come ieri, c’è una regia. Oggi come ieri, circolano soldi. Oggi come ieri, parte della galassia fintopacifista è ispirata da un vero antiamericanismo e da un concreto filocomunismo.

L’obiettivo è chiaro: disinformare l’opinione pubblica italiana formando di conseguenza una pubblica opinione orientata a credere che l’aggressore non sia Putin, ma la Nato. A giudicare dai sondaggi, grazie anche ai social l’antico metodo del Kgb sta dando i suoi frutti. Frutti concreti. Quel che sconcerta è che, a differenza di quanto accadde durante la Guerra Fredda, né le agenzie americane, né la Nato, né il mondo che gravita attorno all’industria della Difesa stiano mettendo in campo una strategia di comunicazione/mobilitazione uguale e contraria. Putin è sempre lo stesso, ad essere cambiati sono gli altri. E, per chi ama la libertà e la democrazia, non è una buona notizia.

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