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È un effetto a cascata, in buona parte preannunciato: dopo Francia e Regno Unito, anche la Germania ha dichiarato la fine del ruolo svolto nella missione di stabilizzazione militare delle Nazioni Unite in Mali, prevedendo il ritiro completo entro maggio 2024 (i tempi in questi casi sono sempre lunghi sia per ragioni tecniche che, come vedremo, per evitare eccessivi sussulti politici).

I tedeschi erano parte di Minusma (acronimo della missione Onu) dal 2013, coinvolti dai francesi che in quegli anni avevano avviato un’iniziativa securitaria con l’obiettivo di salvare Bamako dalle mani dei qaedisti locali — e dunque bloccare un potenziale hub terroristico collegato all’Europa, ma anche costruire per Parigi un ruolo di riferimento all’interno del Sahel (tant’è che l’attività maliana era stata rapidamente allargata su uno scenario regionale).

Le cose sono cambiate nel corso di questo decennio. Il Mali non ha risposto positivamente all’attività francese, l’instabilità securitaria è diventata endemica nel Sahel, i gruppi jihadisti si sono propagati, lo scarso livello di sicurezza ha comportato un depauperamento delle possibilità di sviluppo e creato dinamiche di destabilizzazione istituzionale (in Mali, ma anche in Ciad o Burkina Faso). Una serie concatenata di complicazioni (non ultime quelle che hanno portato l’attività militare occidentale all’insuccesso e messo in difficoltà l’iniziativa politica.

Un contesto che ha creato spazi di penetrazione per la Russia, che ha sfruttato la dimensione ibrida del Wagner Group per creare connessioni di tipo politico-militare e spingere tra quei Paesi il proprio modello di governance degli affari internazionali.

La storia degli ultimi due anni del Mali racconta in modo paradigmatico queste evoluzioni, con i francesi (e l’iniziativa europea che avevano mobilitato) entrati in difficoltà, la crisi istituzionale, l’ingresso di Mosca.

Nello specifico, l’intervento della Russia in Mali ha creato un dilemma per la Germania. Ha incoraggiato la giunta maliana a confrontarsi in modo più aspro con Berlino e ha fatto sì che un’uscita dell’Europa dal Mali sembrasse una sconfitta davanti alla Russia. Inaccettabile adesso, con la guerra di Vladimir Putin in Ucraina in corso.

Forse Mosca non l’aveva pianificato fin dall’inizio, ma la situazione si sta ora evolvendo comunque a suo vantaggio. Il Cremlino è sulla buona strada per un doppio risultato: incoraggiare Bamako a chiedere la fine del coinvolgimento dell’Europa in Mali (e spingere la narrazione sul peso post-colonialista di certe presenze non accettato dalle popolazioni locali) e ottenere il monopolio dell’influenza straniera nel vuoto che ne deriverà.

Mentre gli annunci di ritiro militare dei partner europei iniziavano a fioccare, la posizione della Germania di rimanere era diventata sempre più isolata, come spiega Theodore Murphy, direttore del Programma Africa dell’Ecfr. “Riconoscendo che la tenaglia creata dalla giunta del Mali e dalla presenza militare della Russia ha creato un ambiente sempre più insostenibile per la permanenza delle forze militari europee in Mali, anche la Germania ha ora ceduto”, spiega Murphy nei commenti ricevuti da Formiche.net.

Pur ritirandosi, la Germania ha lasciato il tempo più lungo di qualsiasi altro Paese europeo (maggio 2024). Ciò indica l’intenzione di Berlino di uscire in modo ordinato “e, cosa importante, di sviluppare un piano B prima di andarsene”, aggiunge l’esperto. “Negli scambi ufficiosi tra altri partner europei e la Germania nel periodo precedente l’annuncio del ritiro, il messaggio del ministero degli Esteri tedesco è stato: abbiamo bisogno di un piano B come prerequisito per il ritiro, non solo dopo l’uscita. La Germania sembra intenzionata a rimanere fedele al proprio consiglio anche se i partner europei non ne sono convinti”.

Alcuni responsabili politici tedeschi hanno giustificato la permanenza in Mali indicando i principali interessi europei che sarebbero venuti meno con un ritiro. “Questi andavano dal sostegno al multilateralismo, alla solida partnership con Bamako, alla minaccia della migrazione e della diffusione del terrorismo, alla cessione di una vittoria alla Russia. Ma questi interessi non giustificano il perseguimento di una strategia fondamentalmente sbagliata. In poche parole, il sostegno militare può essere efficace solo con un partner affidabile nel governo ospitante”.

Per Murphy, questo assioma deve essere al primo posto nelle considerazioni dell’Europa sulla sua prossima mossa nel Sahel. “Ancorare un sostegno militare simile a un altro Paese del Sahel, cosiddetto più stabile o democratico, significherebbe ripetere lo stesso approccio sperando in risultati diversi. Aiutare i Paesi del Sahel a migliorare la governance è una strategia meno appariscente ma, in ultima analisi, più efficace”. Una visione che si abbina a quella che sta portando avanti l’Unione europea attraverso il ruolo della Rappresentante speciale per il Sahel, Emanuela Del Re.

La linea di demarcazione creata dal ritiro dell’Europa dal Mali può aiutare a definire i confini con gli altri partner del Sahel che stanno valutando il sostegno russo. Perché condizioni analoghe a quelle che hanno complicato l’impegno in Mali si prospettano in altri Paesi del Sahel che potrebbero ospitare nuove missioni militari europee. La disponibilità dell’Europa ad andarsene crea una nuova credibilità: “In futuro, se un paese del Sahel che ospita il sostegno militare europeo dovesse iniziare a flirtare con la Russia, la preparazione dell’Europa ad andarsene è ormai un fatto dimostrato”, spiega l’esperto del think tank paneuropeo.

Mali tedeschi, Berlino ritira le truppe dalla missione nel Sahel

Anche Berlino via dal Mali. Per Murphy (Ecfr), “In futuro, se un paese del Sahel che ospita il sostegno militare europeo dovesse iniziare a flirtare con la Russia, la preparazione dell’Europa ad andarsene è ormai un fatto dimostrato”

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