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“Nella causa della difesa della Russia dobbiamo essere uniti, coordinare i nostri sforzi, i nostri doveri e i nostri diritti per sostenere un diritto storico superiore a tutto: il diritto della Russia a essere forte”. Nelle quasi due ore della relazione di Vladimir Putin all’Assemblea federale è questa citazione, tratta da un discorso del premier Piotr Stolypin del 31 marzo 1910 alla Duma di Stato, a essere al centro delle riflessioni del presidente. La relazione non si discosta molto da quanto già presente in altri interventi nel corso dell’ultimo anno: la reinterpretazione della storia e della patria come un unico continuum di guerre contro l’Occidente, gli attacchi al regime neonazista di Kiev accompagnati dalla rassicurazione di non star combattendo contro il popolo ucraino, le accuse di pedofilia e l’associare i diversi orientamenti sessuali a pratiche perverse e antireligiose culminate con l’affermazione di considerare l’unica, vera, famiglia possibile quella che deriva dall’unione tra uomo e donna.

​Nella lunga parte dedicata alle misure in sostegno dei militari e dei volontari impegnati nella cosiddetta operazione speciale militare, Putin ha delegato la realizzazione delle sue proposte alle autorità federali e regionali. Come già avvenuto in passato, ad esempio con i “decreti di maggio” del 2012, in questo modo le responsabilità si spostano dal Cremlino alla Casa Bianca (sede del governo russo) e alle amministrazioni locali, con modalità e tempi di realizzazione molto diversi: il sindaco di Mosca Sergei Sobianin ha già emanato un proprio decreto dove si adottano le misure proposte dal presidente, fornendo sostegno non solo ai militari e ai volontari in guerra, ma anche alle famiglie, ma nel caso della capitale, dotata di un sostanzioso bilancio, non è difficile muoversi in questo senso.

L’idea promossa da Putin è di un maggiore impegno nell’appoggio alle forze armate e anche a quelle formazioni coinvolte nella guerra all’Ucraina (la Wagner, mai nominata ma ben presente) in vari settori, tentando di creare un gruppo sociale legato alle fortune (e alle sfortune) dell’avventura militare in grado di poter essere un concreto sostengo per il regime nel breve e nel medio periodo. Vi è spazio anche per i lavoratori del complesso militar-industriale nelle promesse di oggi, per i quali si prevede, tra i vari punti messi in campo, un intervento sull’edilizia e sugli affitti agevolati assieme al settore edile.

Non vi è un intervento statale in toto, anzi, la rivendicazione della difesa della libertà d’impresa e della proprietà privata è apparsa più volte nel discorso di Putin, con un’avvertenza però verso quel business orientato verso l’Europa, a cui son stati sottratti yacht e ville, ha sottolineato il leader, senza suscitare dispiaceri nella gente comune memore delle privatizzazioni degli anni Novanta, in un passaggio dal sapore populista.

​Vi è stato spazio per la cultura, per l’istruzione – con l’annuncio di un nuovo formato per gli studi universitari, dalla durata dai 4 ai 6 anni – e persino per i fondi per la ristrutturazione degli edifici scolastici, ma la vera notizia di una relazione apparsa in molti momenti come un refrain di parole già sentite è la sospensione della partecipazione russa agli accordi START. Una mossa in cui si può leggere sia la forte irritazione del Cremlino per la visita di Joe Biden a Kiev, sia un ulteriore tentativo di rinegoziazione delle relazioni internazionali.

La Nato lo scorso gennaio ha chiesto di tornare alle ispezioni – ha dichiarato Putin – siamo al teatro dell’assurdo, sostenendo poi come sia necessario includere anche Francia e Gran Bretagna, potenze nucleari aderenti all’Alleanza Atlantica, nella ridefinizione degli accordi sul controllo e la riduzione degli armamenti atomici. Il tema dell’atomica continua a esser presente nelle parole del presidente russo, che ha ordinato al ministero della Difesa e a Rosatom di tenersi pronti per l’evenienza di test nucleari, da tenere in caso di nuovi esperimenti americani.

​La normalizzazione della guerra come costante della società russa e il ruolo di grande potenza di Mosca sono i due principali punti della lunga relazione putiniana, dove obiettivi e tempi dell’operazione speciale scompaiono in favore dello scontro con Washington e i suoi alleati. Uno scontro dove ancora una volta vi sono più di un’allusione al ricorso al nucleare come chiave per cercare, probabilmente, una “coreizzazione” del conflitto in Ucraina, dimostrata anche dalla nota consegnata dal ministero russo degli esteri all’ambasciatrice statunitense Lynne Tracy poco dopo la fine della relazione di Putin, dove si chiede il ritiro del sostegno militare atlantico a Kiev.

La verità è con noi, ha concluso il proprio discorso il leader russo, e domani vi sarà il raduno allo stadio Luzhniki, in preparazione da giorni. La guerra, al momento, continua.

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Il presidente russo, nel suo intervento alla Duma, ha promosso un maggiore impegno nell’appoggio alle forze armate e anche a quelle formazioni coinvolte nella guerra all’Ucraina (la Wagner, mai nominata ma ben presente) in vari settori, tentando di creare un gruppo sociale legato alle fortune (e alle sfortune) dell’avventura militare

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