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Dalle linee di trincea ucraine fino alla Silicon Valley, passando per gli uffici del Pentagono. La corsa all’intelligenza artificiale militare rappresenta oggi il nuovo terreno di competizione tra potenze.

La notizia riportata da Politico, nuda e cruda, è che quando affidi scenari di crisi a modelli generativi addestrati sui nostri dibattiti strategici, l’algoritmo sceglie l’escalation. È la scoperta di Jacquelyn Schneider a Stanford: l’IA messa al timone di wargame su Ucraina e Taiwan tendono a usare la forza in modo aggressivo, talvolta fino a contemplare l’opzione nucleare. Un riflesso condizionato dalla storia con cui li abbiamo nutriti. Tanta letteratura su guerre scoppiate, poca sulle guerre evitate. La macchina impara ciò che vede. Un “algoritmo Curtis LeMay” – così l’ha definito a Politico la dottoressa Schneider – che sembra conoscere la logica della deterrenza prevalentemente nella sua versione più aggressiva. Un riflesso pericoloso in un contesto in cui il Pentagono, tra programmi come Maven e Jadc2, sta spingendo per integrare l’IA nella catena di comando, pur dichiarando di non voler concretizzare una esclusione dell’uomo dalle catene operative.

Modern warfare

Velocità, utilizzo di combinazione ibride e tradizionali d’attacco – soldati boots on the ground, droni-sciame, cyberoffensive, missili ipersonici e sabotaggi strategici – caratterizzano la guerra moderna, che riduce sempre più lo spazio temporale della decisione umana.

Sul fronte orientale di Kyiv, la guerra ha fatto delle macchine il cuore stesso delle operazioni. Droni Fpv e veicoli terrestri esplosivi non solo sostituiscono i soldati nelle missioni logistiche e negli attacchi, ma arrivano perfino a raccogliere prigionieri. Le brigate di Kyiv, da Achille a Vladyka, hanno trasformato la robotica in un moltiplicatore di forza capace di compensare la disparità numerica con Mosca. In un conflitto di logoramento, la sopravvivenza passa dall’automazione: un esercito di uomini ridotto, ma sostenuto da flotte di droni e intelligenza artificiale.

Mentre Washington discute se l’IA possa alterare l’equilibrio nucleare globale, a Bakhmut o a Toretsk i soldati ucraini già sperimentano ogni giorno i limiti e le possibilità della guerra algoritmica. Per necessità, il laboratorio ucraino produce innovazioni tattiche che attirano gli occhi della Nato, ma allo stesso tempo anticipa i dilemmi strategici che spaventano i think tank americani. La linea sottile tra controllo umano e automazione, tra deterrenza e perdita di controllo.

Ecco allora la convergenza dei due scenari: l’Ucraina come campo di prova della guerra robotica di massa, gli Stati Uniti come laboratorio strategico della deterrenza algoritmica. Due facce della stessa trasformazione, dove la tecnologia corre più veloce della politica.

Il dossier americano e il dossier ucraino raccontano due lati della stessa medaglia.

Negli Stati Uniti, l’IA entra nelle architetture strategiche e nei sistemi di deterrenza, accelerando i processi e rischiando di abbassare le soglie di impiego della forza. In Ucraina, l’IA e la robotica trasformano tattiche e logistica, ridisegnano le operazioni e la tattica, costringendo le forze armate a ripensare il rapporto uomo-macchina. Se a Washington è ancora dottrina, per Kyiv è necessario un mestiere quotidiano. Con la consapevolezza che la guerra moderna accorcia i tempi di risposta,  rendendo necessario l’impiego dell’IA che, se sbaglia, sbaglia ancora più in fretta.

 

Dai think tank al campo di battaglia. L’IA militare tra Washington e Kyiv

Negli Stati Uniti l’intelligenza artificiale entra sempre più a fondo nella catena di comando militare. In Ucraina, lo stesso strumento diventa un moltiplicatore di forza, capace di compensare lo svantaggio numerico con Mosca

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Di Antonio Teti

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