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Domanda e offerta, è così che funzionano i mercati, incluso quello dei sistemi di difesa. Gli ultimi anni stanno vedendo un massiccio aumento globale degli investimenti per le Forze armate, quale non si vedeva dai tempi della Guerra fredda, e la domanda mondiale di assetti e piattaforme militari è cresciuta di conseguenza. In questo frangente, la Russia, gravata da oltre due anni di guerra, ha visto contrarsi le sue esportazioni di materiale militare che, nel quinquennio 2018-2023 sono scese dal 22% all’11% del mercato. Ma, come in politica, il vuoto nel mercato della Difesa non esiste. Stando a un rapporto del Sipri, nello stesso periodo la Russia è stata superata dalla Francia, che è passata dal 7,2% all’11%, attestandosi sul secondo gradino del podio degli esportatori mondiali di armamenti, subito dopo gli Stati Uniti.

Secondo un articolo della testata nipponica Nikkei, Francia, Italia e Corea del Sud si stanno ora impegnando per riempire il vuoto lasciato dalla Russia, proponendosi come fornitori per diversi paesi asiatici. Parigi ha beneficiato in particolare della decisione dell’India, storico importatore di armi dalla Russia, di rimpiazzare i propri caccia Sukhoi con i Rafale francesi, per cui si è accordata per la fornitura di 26 velivoli e di tre sottomarini classe Scorpène. Parimenti, anche Qatar, Egitto e Indonesia hanno deciso di optare per il caccia d’oltralpe, contribuendo ulteriormente ad aumentare la fetta di mercato in mano alla Francia. Gli ultimi anni hanno anche visto l’entrata sul mercato della Corea del Sud che, con una commessa di 1000 carri armati per la Polonia e di 54 obici semoventi per la Romania, è diventato il primo Stato asiatico a esportare armamenti in Europa ed è entrata per la prima volta nella top 10 degli esportatori mondiali di armi. Se infatti le esportazioni europee hanno come focus sistemi e armamenti aeronavali, Seul si propone invece come fornitore di mezzi terrestri di produzione domestica, come il carro K2 Black Panther e l’obice semovente K9 Thunder, oltre a molteplici sistemi unmanned. Non è un caso che queste tre categorie di armamenti (carri armati, artiglieria e droni) siano tornati in cima ai capitoli di spesa di diversi Stati del mondo, la guerra d’Ucraina ha infatti dimostrato quanto questi sistemi si siano rivelati cruciali per affrontare i moderni scenari di conflitto ad alta intensità. 

L’aumento dell’export italiano

Secondo Nikkei, anche l’Italia è in gara per sostituirsi alla Russia come fornitore per diversi Stati. Roma, che nel quinquennio 2019-2023 ha registrato una crescita dell’86% (la più alta in Europa) delle sue esportazioni, ha raddoppiato la sua quota di mercato e si attesta ora come sesto esportatore di armamenti a livello mondiale. Sebbene l’Italia sia da sempre nota come grande produttore di armi leggere e relativo munizionamento (tramite le storiche Beretta e Fiocchi), a trainare la crescita sono state l’esportazione di sistemi aerei e navali avanzati. Il grosso delle esportazioni italiane sono dirette verso il Medio Oriente, con Qatar, Egitto e Kuwait che da soli compongono il 60% del totale, seguiti poi da Turchia e Brasile. Non bisogna inoltre dimenticare che Fincantieri, la più grande firma cantieristica d’Europa, attrae sempre più acquirenti interessati a rinnovare le proprie flotte di superficie, come attestato dall’accordo per fornire due Pattugliatori polivalenti d’altura (Ppa) all’Indonesia. Parimenti, nel campo dell’aerospazio e delle telecomunicazioni, Leonardo ha visto progressivamente aumentare clienti e partnership internazionali, tra le quali svetta il programma Gcap (Global combat air programme) per lo sviluppo del caccia di sesta generazione insieme a Regno Unito e Giappone. 

Perché le esportazioni russe sono crollate

Se fino al 2019 erano 31 gli Stati che importavano armi e sistemi dalla Russia, nel 2023 il numero è sceso a 12. La ragione si spiega abbastanza intuitivamente, il combinato disposto tra sanzioni occidentali e necessità di foraggiare le Forze armate impegnate sul fronte ucraino hanno messo sotto sforzo la tanto decantata industria bellica russa. Sebbene le sanzioni da sole non siano in grado di pregiudicare l’interezza della produzione, sono certamente capaci di comprometterla, con particolare riferimento alla componentistica avanzata. Non è inoltre un mistero che, da esportatore, la Russia sia passata ad essere anche importatore di armi, in particolare di munizioni d’artiglieria e droni, come lo Shahed 136 iraniano. Questa difficoltà nel mantenere (se non aumentare) i livelli di produzione si è inoltre scontrata con una dura realtà che ha pregiudicato l’export: le armi russe non sono buone. O meglio, non buone come quelle occidentali. La guerra d’Ucraina ha dimostrato che, sul piano prettamente qualitativo, i sistemi d’arma russi non reggono il confronto con i sistemi occidentali e ne è prova il fatto che l’esercito ucraino, in inferiorità numerica ma armato dalla Nato, sia riuscito a tenere testa a quello russo per quasi tre anni, riportando anche diversi successi sul piano tattico. Questo ha portato diversi Stati che facevano affidamento in modo massiccio su Mosca a dirottare le proprie commesse altrove.

Il crollo dell’export militare russo apre opportunità per l’Italia. Ecco quali

La Russia non è più il secondo esportatore di armi al mondo. Il vuoto lasciato da Mosca, sabotata dalle sanzioni occidentali e impegnata a rifornire le proprie truppe in Ucraina, è stato rapidamente riempito da altri Stati che hanno progressivamente incrementato i propri livelli di export, tra questi c’è anche l’Italia

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