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Le 4.15. Era notte fonda a Mosca quando è andata in onda la lettera di Zelensky letta da Amadeus. Da noi erano le 2.15, una buona fetta di spettatori di Sanremo era già crollata. Non solo il tira e molla imbarazzante che aveva portato a cancellare il video del presidente in guerra e sostituirlo con un breve testo scritto (corredato dall’esibizione sul palco, sempre dopo tutti e 28 i cantanti in gara, di una band ucraina), anche lo smacco della collocazione più infelice di tutte, cioè quando il pubblico sopravvissuto vuole solo capire chi ha vinto e andare a dormire, e maledice ogni ulteriore motivo di ritardo.

Programmandolo a quell’ora si è azzerata la possibilità che in Ucraina (dove erano le 3.15) e in Russia qualcuno potesse vedere il più popolare spettacolo televisivo italiano schierato a sostegno di un popolo invaso e massacrato. Lo ha spiegato perfettamente Fulvio Abbate: il Festival in Russia è seguito da milioni di persone, lo adorano, e vedere Zelensky, descritto dalla propaganda putiniana come “a capo di una banda di drogati, satanisti e neonazisti” occupare la prima serata più importante dell’anno avrebbe mandato un messaggio potentissimo anche nelle province più remote dove arrivano solo le trasmissioni del regime.

Invece i vertici Rai sono riusciti a dare nuove munizioni alla disinformazia del Cremlino, con la portavoce fragole-e-limousine Maria Zakharova che ha subito colto l’occasione per fare battute, a riprova di come a Mosca lo spazio dedicato ai nemici fosse un tema cruciale, e abbiano festeggiato il trattamento umiliante riservato al presidente ucraino.

Ora che si è chiusa la kermesse, per usare un termine caro al direttore dell’Intrattenimento di prime time Stefano Coletta, crolla la scusa imbastita per giustificare l’aver relegato la crisi ucraina nel peggiore momento possibile e con l’immagine più moscia possibile: al Festival si parla di canzoni, non di cose serie come un conflitto in corso. Un falso storico, visto che Sanremo è sempre stato iper-politico, e un falso pure contemporaneo: nelle cinque serate si è parlato di tutto e affrontato qualsiasi tema – a maggior ragione se in aperto contrasto con le posizioni dell’attuale maggioranza – con un forte accento woke, l’aggettivo che connota chi si è “risvegliato” sulle discriminazioni del passato e del presente: Fedez ha strappato la foto di un viceministro, con gli Articolo 31 ha chiesto a Giorgia Meloni cannabis libera, dal rapper Rosa Chemical ha ricevuto una lap dance e un bacio appassionato.

E stiamo parlando del marito di Chiara Ferragni, la co-conduttrice più attesa di questa edizione, azionista di maggioranza di un duo che si muove all’unisono, vale milioni di follower e programma ogni selfie, non di un passante. Oggi Coletta ammette di aver chiesto l’ultima versione del testo di Fedez, e di non averla ricevuta. Quindi il controllo editoriale di Viale Mazzini c’era, ma hanno trovato il modo furbo di non assumersene la responsabilità.

Oltre ai Ferragnez, sul palco sono “passati” tutti i messaggi importanti, delicati, o controversi che ospiti, artisti in gara, monologhiste, hanno voluto far passare: razzismo, detenzione minorile, depressione, diritto alla non-maternità, misoginia e patriarcato, strage delle donne iraniane, poliamore, mafia, aborto, porno, fluidità sessuale (praticamente l’unico non fluido era Al Bano). Un mix tra Pasquino, Hyde Park Corner e open mic nights, il Festival è stata una serie di serate col microfono aperto in cui tutti hanno avuto a disposizione la più sofisticata macchina di produzione di luci, immagini e suoni strabilianti. Tutti, tranne Zelensky e i 44 milioni di ucraini. Un danno alla nostra immagine internazionale i cui effetti si sono visti immediatamente.

 

Sanremo è woke, si è addormentato solo sulla strage in Ucraina

La foto di un viceministro strappata, cannabis libera, lap dance e baci tra Fedez e Rosa Chemical, razzismo, detenzione minorile, depressione, diritto alla non-maternità, misoginia e patriarcato, strage delle donne iraniane, poliamore, mafia, aborto, porno, fluidità sessuale: tutti i temi importanti, delicati o controversi (specialmente se sgraditi all’attuale governo) hanno avuto dignità di tribuna in prima serata. Tutti tranne Zelensky, relegato alle 2.15 con un misero messaggio. I vertici Rai hanno inferto un danno micidiale alla nostra immagine internazionale

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