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Ben prima della vittoria schiacciante del candidato repubblicano Ron DeSantis alla corsa per la rielezione in Florida era chiaro che il suo nome sarebbe stato il fattore di novità nella politica repubblicana a stelle e strisce. Se ne parla da almeno due anni per una serie di ragioni. Guida uno Stato centrale per le elezioni presidenziali; anche se in passato gli italoamericani non anno avuto gloria in occasione di urne Usa (Giuliani o Santorum) ha dalla sua il sostegno della comunità italiana, di pezzi della Chiesa ratzingeriana e anche dell’ex segretario di Stato Mike Pompeo, oltre a quella parte di Partito repubblicano che considera Donald Trump un freno nella corsa Gop alla Casa Bianca (come dimostra la mancata ondata rossa); DeSantis non può essere nell’immaginario collettivo il nome che pesca al centro, visto che ha posizioni molto di destra praticamente su tutto.

Cosa pensa e cosa ha fatto

Legato al Tea Party, è vicino alla lobby fondamentalista protestante Family Research Council Action PAC. È contrario alla legalizzazione della cannabis, per questa ragione ha votato contro la Veterans Equal Access Amendment, ovvero legge che avrebbe permesso ai veterani di guerra di accedere e usare la marijuana medica. Ha creato la Opioid Task Force per combattere la proliferazione di oppioidi. È contrario all’interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane ed è contrario all’obbligo della copertura sanitaria obbligatoria per contraccettivi.

Nell’ultimo mandato si è vantato di avere aumentato gli investimenti nel sistema educativo del suo stato, come la spesa per allievo più alta di sempre, portata a 7.672 dollari per studente, oltre al più alto finanziamento mai realizzato per la scuola pubblica con 21,8 miliardi di dollari finanziamenti statali e locali. Ha inoltre firmato il cosiddetto disegno di legge “Non dire gay” che vieta “l’istruzione in classe da parte del personale scolastico o di terze parti sull’orientamento sessuale o l’identità di genere” fino alla terza elementare. Da un lato il governatore è stato molto criticato da sinistra per questa sua retorica, ma dall’altro gli elettori si sono mostrati non contrari, stando ai sondaggi di gradimento.

Tra i suoi finanziatori figurano nomi di peso come il co-fondatore di Home Depot Bernie Marcus, il ceo di WeatherTech David MacNeil e il magnate delle spedizioni Richard Uihlein.

Chi lo appoggia

Dopo il nomignolo affibbiatogli da Trump, Ron DeSanctimonious, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo ha twittato il suo personale supporto a DeSantis (“ha dimostrato che le politiche conservatrici funzionano. La Florida è migliore per questo”). Pompeo, tra l’altro, è in procinto di avviare un ampio tour per presentare il suo libro che uscirà il prossimo 24 gennaio, proprio in concomitanza con gli incontri pubblici di chi si sfiderà alle primarie.

Che Trump sia ideologicamente contrario ad “allevare” delfini è noto, come dimostra la sua abitudine a giocare con i nomi dei suoi competitors: durante le primarie del 2016 definì Rubio “Little Marco”, il senatore Ted Cruz “Lyin’ Ted” e l’ex governatore della Florida Jeb Bush “Low Energy Jeb”.

Scenari

Che i sondaggi ad oggi siano dalla parte di Trump è un fatto, ma non si può non osservare il lento e costante progresso di DeSantis nel gradimento popolare, accanto al fatto che, nel solco della tradizione repubblicana, il partito vive e va oltre i leader: un passaggio che all’ex Presidente continua a sfuggire e che invece è stato oggetto di ampio dibattito, sia tra le fazioni (come la famiglia Bush e lo stesso Pence) sia tra cittadini che devono affrontare l’inflazione e il caro bollette.

La prima pagina del New York Post non sarà sufficiente, da sola, a costruire la sua candidatura per il 2024, ma già il dato che attorno al Presidente di ieri ci sia un movimento di figure e comunità repubblicane che non hanno accettato i fatti di Capitol Hill, è un elemento che avrà comunque un peso nelle dinamiche future.

@FDepalo

Di destra, ma poco trumpiano. Perché DeSantis è la carta rep per il 2024

La prima pagina del New York Post pro Ron non sarà sufficiente, da sola, a costruire la sua candidatura. Ma già il dato che attorno al presidente di ieri ci sia un movimento di figure e comunità repubblicane che non hanno accettato i fatti di Capitol Hill, è un elemento che avrà comunque un peso nelle dinamiche future

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