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Sei mesi fa, in queste ore i media di tutto il mondo stavano raccontando l’inizio dell’offensiva russa in Ucraina: un’invasione anticipata da settimane di ammassamento militare attorno al confine che secondo Mosca sarebbe rimasta solo un’esercitazione, e che secondo alcune analisi avrebbe portato le forze armate russe al successo nel giro di poche settimane (e tanto valeva per gli ucraini una resa immediata).

Così non è stato. Il ricordo di quei fatti, ma soprattutto il procedere complesso e spietato del conflitto (delle vittime e della distruzione), macchia oggi la 31esima festa dell’Indipendenza ucraina, che quest’anno cade, per macabra ironia della sorte, nello stesso giorno dell’anniversario dell’attacco di Vladimir Putin. Ma allo stesso tempo la rafforza nel significato.

“Domani è un giorno importante per tutti noi”, ha dichiarato martedì il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Ed è per questo che questo giorno, purtroppo, è importante anche per il nostro nemico. Dobbiamo essere consapevoli che domani sono possibili orrende provocazioni russe e attacchi brutali”.

Dopo la vulnerabilità dimostrata nell’assassinio di Daria Dugina, dopo l’annuncio di una nuova e robusta fornitura di armi statunitensi a Kiev (la più corposa tra quelle arrivare finora), dopo gli attacchi sulla Crimea (e dopo l’aumento delle discussioni sul destino della penisola occupata illegalmente dai russi nel 2014), il rischio che questo sia il giorno da cui gli attacchi si inaspriscano ulteriormente è reale.

La Russia ha bisogno di qualche forma di successo anche da rivendere pubblicamente, sia alle sue collettività, sia agli attori internazionali che la osservano. Il “Russkiy Mir”, il “mondo russo”, un concetto revanscista sui domini imperiali della Russia, si è di fatto fermato a Kiev, incontrando la resistenza di un esercito (e di una popolazione) che per la visione del Cremlino non hanno dignità di esistere in modo indipendente. E invece hanno dimostrato esistenza e resistenza.

L’offensiva avrebbe dovuto prendere la capitale con una parata militare o poco più, e invece una parata di mezzi russi distrutti è stata organizzata come esposizione nella capitale ucraina per celebrare il giorno dell’indipendenza. Volens tu nolens si è trasformata in una guerra localizzata nel Donbas e nel sud del Paese. Sebbene l’obiettivo generale del Cremlino probabilmente resta la cancellazione dell’Ucraina come entità statuale, ossia la conquista di tutto il territorio ucraino, per ora si combatte per una porzione di essa. Troppo poco per giustificare un impegno così profondo e così costoso (in termini economici, di vite umane, di capacità politica)? Tutto ruota attorno al valore simbolico di ciò che sta accadendo, e il livello di coinvolgimento difficilmente permette spazi per retromarce.

La collettività russa che ha sostenuto la guerra, anche indottrinata da anni e anni di martellante narrazione propagandistica su certi temi, sente però il peso del conflitto nella vita quotidiana. Sebbene la reazione resiliente, le sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione Europea hanno “un impatto sull’economia russa” e “il mondo non si lascerà ingannare dai tentativi del Cremlino di diffondere disinformazione”, per dirla come il dipartimento di Stato, che ha diffuso martedì un report sulla situazione di Mosca – analisi prontamente condivisa su Twitter dall’ambasciata americana in Italia pochi minuti dopo che il leader leghista Matteo Salvini chiedeva di “guardare ai numeri”, di “valutare” la loro utilità, alludendo alla possibilità che stessero “peggiorando la guerra”.

Putin ha trovato una risposta occidentale per ora compatta su sanzioni e aiuti militari, determinanti per la resistenza legittima di Kiev. Ma ha anche trovato la compattezza degli ucraini: “Siamo più forti nello spirito, nell’unità, come società, come nazione”, ha detto Ivanna Klympush-Tsintsadze, parlamentare ucraina, al Washington Post. È una conseguenza, ha aggiunto, della “comprensione intima e viscerale di un nemico e di una minaccia esistenziale”.

Se – come ha scritto il mese scorso Adrian Karatnycky dell’Atlantic Council – questo senso diversificato e inclusivo dell’identità ucraina è personificato da Zelenskyy, un ebreo cresciuto in una comunità di lingua russa, ma la cui potente leadership in tempo di guerra si basa sulla sua straordinaria comprensione di come unire le molte correnti che compongono la moderna nazione ucraina, è vero altrettanto che quella stessa minaccia esistenziale in questi sei mesi ha mosso Svezia e Finlandia dalla neutralità strategica (chiedendo l’ingresso nella Nato) e ha portato Ucraina e Moldova verso l’Unione europea.

Tuttavia, mentre manca (la volontà per) una soluzione politica alla guerra, tra le varie difficoltà Mosca ha già incassato tre obiettivi: la conquista di Kherson nel sud, il Mar d’Azov a sudest, tutto l’oblast di Luhansk. Mancherebbe l’intero oblast di Donetsk per permettere al Cremlino di dichiarare la missione compiuta in quella che ancora continua a chiamare “operazione militare speciale”. Unendo questi fatti al controllo dell’informazione, Putin potrebbe anche spacciare certi risultati e un eventuale mediazione come un successo.

Potrebbe, perché gli interrogativi restano. Come procederà il conflitto sul campo? Cosa è prevedibile nei prossimi sei mesi dal punto di vista politico-diplomatico? Gli Stati Uniti, e in misura minore i Paesi europei, riusciranno a mantenere il livello di flussi di armamenti attuale? Un eventuale rallentamento coinciderà con la richiesta di accomodamenti negoziali? Quali conseguenze si porteranno dietro i prossimi mesi di conflitto in Russia, Ucraina, Europa?

“Il primo elemento da prendere in considerazione riguarda proprio la politica interna russa: l’attentato alla figlia di Alexander Dugin ha dato più forza ai gruppi di nazionalisti all’interno del Cremlino, gruppi che ci sono sempre stati e che hanno via via acquisito più importanza e ora rischiano di diventare più rilevanti, e alla luce della guerra in Ucraina sono voci che spingono per aumentare la pressione militare su tutto il Paese”, spiega Eleonora Tafuro Ambrosetti, esperta di Russia dell’Ispi.

“Un altro elemento – continua in una conversazione con Formiche.net – che racconta come sia in corso un’ulteriore spinta è l’arresto del sindaco di Ekaterimburg, non certo un liberale (come raccontano alcune sue esternazioni sul rispetto delle minoranze), che però ha pagato l’aver espresso una posizione lontana dalle fanfare nazionalistiche e filo-belliche. Ossia, anche in vista delle elezioni regionali che ci saranno in Russia a settembre, lo scenario che vediamo in preparazione riguarda un maggiore soffocamento d’ogni genere di dissenso”.

L’andamento della guerra ucraina in effetti dipende molto dalle dinamiche interne alla politica russa. Contemporaneamente Mosca sta cercando di consolidare i propri successi, trascinando la guerra verso l’inverno, quando sul campo le attività rallenteranno per ragioni climatico-ambientali. In quel momento, la Russia spera che il sostegno esterno occidentale potrebbe affievolirsi, anche complice questo rallentamento,, ma soprattuto perché sarà “un momento in cui i Paesi europei avranno maggiore bisogno del gas russo e Putin sa che avrà maggiore forza politica”, aggiunge Tafuro Ambrosetti.

Sul campo il conflitto si sta allungando, la guerra di logoramento è in corso, nessuno delle parti ha vantaggi chiari – non c’è un vincitore o uno sconfitto evidente – e sembra non riuscire ad averne nel breve/medio periodo.

Uno scenario positivo, ma meno probabile, secondo l’esperta Ispi, sta nella possibilità di uno slancio nelle riconquiste ucraine legate alle campagne in corso nella fascia meridionale: “Questo potrebbe portare Kiev a essere più disposta per eventuali negoziati, sui quali poi ci sarà chiaramente da vedere se Mosca accetterà di partecipare, dato che per ora non si è dimostrata affatto flessibile”.

Uno scenario ancora più ampio: se l’Europa dovesse allentare il proprio sostegno a Kiev, allora gli Stati Uniti potrebbero essere interessati a pressare per forme di negoziati. Tra l’altro in entrambi i poli occidentali potrebbero esserci forze interne che guiderebbero questo genere di posizioni – per esempio un successo dei trumpiani alle MidTerm che imporrebbe una linea diversa a Capitol Hill. A quel punto, la Cina e la Turchia potrebbero essere interessati a giocare ruoli di mediazione con maggiore convinzione, portando Mosca su posizioni negoziali (e altrettanto Usa e Ue potrebbero fare con Kiev).

Ucraina, quali scenari per i prossimi sei mesi? Conversazione con Tafuro

Secondo l’esperta dell’Ispi, molto dipenderà da come procedono gli affari interni a Mosca, dove è in corso un’ulteriore stretta contro ogni forma di dissenso. Intanto la guerra di attrito si sta trascinando verso l’inverno, quando Putin spera di avere più carte da giocare

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