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“Non è una protesta, è l’inizio della rivoluzione contro il regime degli ayatollah”. “Limitare le manifestazioni a una richiesta di più diritti per le donne è sbagliato”. Sono le voci che Formiche.net ha raccolto dai parenti che vivono in Italia di alcune persone che da settimane sfidano le forze di sicurezza iraniane per protestare per la morte di Mahsa Amini, morta secondo le autorità di Teheran per malattia e non per le percosse ricevute durante il fermo della polizia religiosa che l’ha picchiata perché non indossava correttamente il velo.

Secondo Iran Human Rights sono almeno 201 persone, di cui 23 bambini, uccise nelle proteste che hanno invaso l’Iran: 108 nelle manifestazioni delle ultime tre settimane dopo la morte della giovane; 93 negli scontri nella città di Zahedan, nella provincia sud-orientale del Sistan-Baluchistan, dopo la denuncia dello stupro di un’adolescente da parte di un comandante di polizia della regione. L’organizzazione con sede a Oslo ha spiegato che è probabile che il bilancio delle vittime salga, a causa della “sanguinosa repressione” dei manifestanti.

La leadership iraniana ha puntato il dito contro i nemici esterni. L’ayatollah Ali Khamenei, la Guida suprema, ha accusato Stati Uniti e Israele di fomentare le proteste. Il presidente Ebrahim Raisi ha lanciato accuse simili, anche in occasione della cerimonia del’’8 ottobre all’Università di Teheran per l’inizio del nuovo anno accademico. Gli inviti ad andarsene rivolti dai manifestanti a Khamenei e Raisi seguono un’estate di disordini in tutto l’Iran per le cattive condizioni di vita, la scarsità d’acqua e le difficoltà economiche derivanti dalle pesanti sanzioni imposte dagli Stati Uniti per il programma nucleare.

La reazione del regime è stata “classica”: accusare un fantomatico nemico esterno. Come raccontato su Formiche.net, ma il problema è interno e riguarda il futuro della collettività iraniana: quei giovani non si accontenteranno in fretta, e non è chiaro per quanto tempo ancora sarà possibile reprimerli.

Aniseh Bassiri Tabrizi, del dipartimento di International Security Studies al Rusi di Londra, ha spiegato: “Nonostante una minaccia della rivoluzione non pare palese, è evidente che sia in corso una erosione continua della legittimità del regime davanti a vari gruppi demografici ed etnici. Le proteste si moltiplicano, dal 2017 sono diventate sempre più frequenti con una diversità sempre maggiore nelle ragioni per cui emergono. La legittimazione della leadership è messa a rischio e a lungo andare il contesto potrebbe cambiare e la minaccia rivoluzionaria crescere di sostanza”.

Non è solo il velo. L’Iran verso la rivoluzione?

“Non è una protesta, è l’inizio della rivoluzione contro il regime degli ayatollah”. Le voci che abbiamo raccolto dai parenti che vivono in Italia di alcune persone che da settimane sfidano le forze di sicurezza iraniane per protestare per la morte di Mahsa Amini

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