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Pragmatismo, riforme, europeismo non acritico. Un discorso che richiama “le grandi stagioni della politica italiana ed europea, quando le culture politiche si intrecciavano e si misuravano con rigore”. Una forma di “evoluzione del pensiero conservatore, declinato in senso cristiano-liberale”. Ferdinando Adornato, giornalista, saggista e già parlamentare, commenta su Formiche.net l’intervento della premier Giorgia Meloni al Meeting di Rimini. Ne emerge un giudizio che va oltre la contingenza politica, per soffermarsi sulla portata culturale e storica delle parole pronunciate questa mattina.

Adornato, partiamo dalla sua impressione complessiva. Che discorso è stato quello della premier Meloni al Meeting di Rimini?

Mi è sembrato un discorso di grande livello, che richiama i grandi interventi dei leader di un tempo. Oggi si tende a dire che la politica è decaduta, ma quello di Meloni è stato un discorso da “grande politica”. È stato all’altezza dei tre anni di governo che hanno proiettato la premier su un piano forse inaspettato, suggellando anche il suo standing internazionale.

In premessa lei ha parlato di un “discorso di svolta”. Come la intende?

Direi che si tratta di un’evoluzione del suo pensiero politico. Meloni ha delineato una sintesi tra pensiero cristiano e pensiero liberale: un conservatorismo che compie un passo in avanti, vicino alla declinazione cristiano-liberale rappresentata da Friedrich Merz in Germania. Leader, non a caso, con il quale la premier ha maggiori affinità rispetto al panorama europeo. Insomma, ci sarebbero le basi per un grande partito di tradizione democratico-cristiana, liberale e conservatrice.

Dal punto di vista contenutistico qual è il messaggio in filigrana che ha voluto dare la premier?

Direi che è particolarmente significativa la sua battaglia contro il nichilismo. Non so se resterà isolata nel panorama politico e culturale attuale, ma è chiaro che si muove lungo questo solco, che è di grande rilevanza per la politica contemporanea. Mi concedo una battuta: non moriremo di nichilismo.

Sul piano internazionale, quali indicazioni ha colto?

Mi auguro che il governo continui sulla linea intrapresa: sostegno all’Ucraina e gestione equilibrata delle crisi in Medio Oriente. Ho notato un’accentuazione polemica su Gaza, che però rientra nell’attualità. Resta un nodo fondamentale: la necessità di distruggere Hamas, giustificata dal massacro del 7 ottobre, non deve portare alla negazione di uno Stato palestinese. Due popoli, due democrazie: questa, a mio parere, dev’essere la prospettiva.

Passiamo alle riforme istituzionali. Che valutazione dà?

Nei contenuti non ho visto novità particolari. C’è solo da attendere. Sul premierato bisognerà capire se riuscirà a chiudere entro questa legislatura. L’Italia non è certo il Paese più facile in cui fare riforme: la storia lo dimostra chiaramente.

E sull’Europa?

Io continuo ad amare idealmente l’idea di una federazione europea, ma allo stato dei fatti mi pare impossibile. Le prerogative dei singoli stati restano imprescindibili. Tuttavia, passi avanti possono e devono essere fatti: sulla cooperazione, sulla difesa comune, sulla politica estera e migratoria. E soprattutto sul superamento del diritto di veto, che oggi paralizza molte decisioni.

In conclusione, qual è il messaggio più forte che ha colto dal discorso della premier?

La speranza di non lasciarsi uccidere dal nichilismo. È un messaggio politico e culturale che vale più di tante schermaglie quotidiane.

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