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Il Capo delle Forze di Difesa australiane, il generale Angus Campbell, il Capo degli Stati maggiori congiunti statunitensi, il generale Mark Milley, e il capo del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, l’ammiraglio Chris Aquilino, hanno parlato insieme in conferenza stampa e accusato la Cina di compiere manovre aggressive all’interno dell’Indo Pacifico, regione più geopolitica che geografica in cui il dualismo Usa-Cina è molto acceso.

I generali australiani e americani, legati dall’alleanza Aukus, erano riuniti per il Chods, il meeting dei Capi di Stato Maggiore della Difesa dei Paesi dell’Indo-Pacifico, che si è tenuto a Sydney nei due giorni scorsi. Vi hanno partecipato 27 Paesi della regione e gli Stati Uniti lo ha hanno utilizzato per rafforzare il proprio ruolo. Washington ha un limite geografico, non è fisicamente presente al centro del quadrante indopacifico, e per questo le sue attività hanno costante bisogno di sponde dai partner locali (per esempio la Marine Rotational Force Darwin e la Enhanced Air Cooperation, operazioni congiunte con l’Australia).

Collaborare con i partner dell’Indo-Pacifico è  una volontà ma tanto più una necessità per Washington — e anche per Canberra, decentrata rispetto al fulcro della regione. L’obiettivo dichiarato è “aumentare la resilienza e garantire che tutte le nazioni siano in grado di fare scelte sovrane”, che significa allentare la dipendenza dalla Cina di molte di quelle nazioni. Ne esce la spinta per un “investimento profondo e duraturo nell’Indo-Pacifico, lavorando a stretto contatto con i partner regionali sulle questioni che li riguardano”, per usare le parole di Milley.

È la diplomazia del Pentagono in movimento. Un Indo-Pacifico “prospero e sicuro” è un obiettivo che per Washington è parte del contenimento di primo livello (geografico e geopolitico) della Cina. Un lavoro molto complicato viste le relazioni che i Paesi dell’area hanno in piedi con Pechino. Per questo esporre i comportamenti aggressivi della Repubblica popolare è parte della strategia.

Milley — che aveva anticipato il suo viaggio tra Indonesia e Australia dichiarando che la Cina era diventata “significativamente più aggressiva” negli ultimi cinque anni — ha rincarato la dose la dose da Sydney. La Cina “usa tattiche da bullo” e atteggiamento “dominante” nell’Indo Pacifico, ha detto il capo delle forze armate americane, usando un wording funzionale che contrappone la denuncia del comportamento cinese con l’idea di “free and open” che gli Stati Uniti hanno fatto propria, riprendendola dal defunto premier nipponico Abe Shinzo.

A marzo, l’Australia ha accusato l’esercito cinese di aver messo in pericolo delle vite quando un laser è stato puntato verso un P-8 Poseidon della RAAF in navigazione nel Mare di Arafura. A maggio, il governo Albanese ha dichiarato che i cinesi avevano intercettato un aereo della RAAF aain un’altra manovra pericolosa. In quello stesso mese il primo ministro canadese, Justin Trudeau, ha accusato l’aviazione di Pechino di comportarsi in modo “irresponsabile e provocatorio” dopo che un aereo canadese in Giappone ha evitato per un soffio la collisione con jet cinesi.

Gli Stati Uniti in questi giorni stanno sottolineando con insistenza il rischio di certi comportamenti. Temono che possano portare a incidenti le cui conseguenze potrebbero essere incontrollabili. Pechino si è scagliata contro Ely Ratner, assistente segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza nell’Indo-Pacifico, la quale aveva avvertito dei crescenti rischi di attività provocatorie dell’Esercito Popolare di Liberazione nella regione. Ratner ha previsto un “grave incidente nella regione”.

“Negli ultimi mesi, abbiamo assistito a un netto aumento di comportamenti non sicuri e non professionali da parte di navi e aerei del Esercito popolare cinese, che hanno coinvolto non solo le forze statunitensi, ma anche le forze alleate che operano nella regione”, ha dichiarato Ratner martedì in occasione di una conferenza del Center for Strategic and International Studies. “La Cina sta alterando lo status quo che ha servito a lungo la regione e in modi che hanno profonde implicazioni per la nostra sicurezza collettiva”. Questi commenti hanno suscitato una brusca risposta da parte del ministero degli Esteri cinese, che ha affermato che “travisano completamente i fatti” e le intenzioni regionali della Cina. Pechino ha invece implicitamente incolpato gli Stati Uniti per le tensioni militari regionali.

“Per mantenere la propria egemonia, un paese importante al di fuori della regione, a mezzo mondo di distanza, ha intensificato la proiezione di potenza militare nel Mar Cinese Meridionale, costruendo molteplici basi militari intorno al Mar Cinese Meridionale con armi offensive, inviando frequentemente portaerei, bombardieri strategici e altre navi e aerei militari, radunando alleati non regionali per flettere i muscoli nel Mar Cinese Meridionale”, ha dichiarato il ministero.

La preoccupazione uscita da Washington si lega anche al potenziale incombente viaggio della Speaker della Camera, Nancy Pelosi, a Taiwan. Le forze armate statunitensi sono giustamente consapevoli del fatto che la visita di Pelosi potrebbe comportare un riposizionamento delle risorse navali e aeree statunitensi nel momento in cui le loro controparti cinesi intensificano i pattugliamenti e con essi manovre aggressive. Questo potrebbe produrre scontri accidentali.

I cinesi hanno fatto le solite dichiarazioni pubbliche bellicose, ma si tratta di un linguaggio relativamente normale quando si parla di Taiwan, e non ha ricevuto molto spazio nei media nazionali. Tuttavia pare che il linguaggio cinese sia stato più minaccioso del solito nei contatti privati e riservati sulla vicenda e questo preoccupa il Pentagono — potrebbe ripetersi la crisi delle isole Diaoyu con il Giappone del 2012, scatenata da un errore di comunicazione reciproca.

La vicenda che riguarda Pelosi sta prendendo molto spazio sui media americani soprattutto in funzione di politica interna. I falchi anti-Cina sono arrivati addirittura a far serpeggiare l’idea che Pechino possa ordinare di abbattere l’aereo della presidente. La diatriba che si è aperta con la Casa Bianca e il Pentagono, che non ritengono adeguato il viaggio in questo momento, espone l’amministrazione a critiche da parte dell’opposizione (parte della campagna elettorale per le MidTerm). Tutto mentre il presidente Usa Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping si parlano al telefono per la quinta volta in 18 mesi di presidenza del democratico.

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