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Il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato al suo ministro della Difesa, Sergej Shoigu, di sospendere ogni azione offensiva sulla linea del fronte in Ucraina, dal mezzogiorno di venerdì 6 gennaio alla mezzanotte del 7, ricorrenza del Natale, secondo il calendario giuliano, adottato dal Patriarcato di Mosca e di tutte le Russie, ma non di tutte le Chiese Ortodosse. L’ordine ha corrisposto all’appello rivoltogli dal patriarca Kirill – fedelissimo di Putin, tanto da essere chiamato suo “chierichetto” da papa Francesco – di una tregua d’armi in occasione del Natale, per consentire ai fedeli di partecipare senza timore alle sue cerimonie. Di certo era stato concordato fra i due. Nel momento in cui scriviamo, non si sa se la tregua riguarderà solo le truppe al fronte o anche i bombardamenti aerei e missilistici russi sulle città ucraine. Essi sono attuati da un paio di mesi dai russi per indebolire le capacità industriali e fiaccare la volontà degli ucraini di continuare a combattere. Sono continuati anche il 24 e il 25 dicembre, date alle quali la maggioranza degli ucraini ha festeggiato il Natale. Come nelle campagne di bombardamento di obiettivi civili verificatesi in passato (Germania, Vietnam, eccetera), il loro esito non è mai decisivo. I popoli dimostrano sempre un’incredibile resilienza. Nel caso ucraino, oltre il 90% della popolazione continua ad appoggiare il governo, nella sua decisione di riconquistare i territori perduti.

Per inciso, l’esito del conflitto potrà essere influenzato dai risultati delle operazioni offensive previste da russi e ucraini entro febbraio. Qualora non fossero decisivi, cioè non sbloccassero lo stallo esistente, potrebbero esserlo dalle elezioni, specie da quelle statunitensi del 2024, anche se qualsiasi presidente americano avrebbe le mani legate dagli impegni assunti da Joe Biden. Essi non possono essere accantonati senza porre in gioco la posizione mondiale di Washington. Mai come oggi essa dipende dalla coesione del suo sistema di alleanze, quindi dalla credibilità degli impegni americani.

Non solo Kiev, ma anche gli Stati Uniti e i loro principali alleati – a partire dalla Germania – hanno definito “ipocrita” e “inaccettabile” la dichiarazione unilaterale di tregua da parte russa. Ipocrita perché entrambi non possono essere stati mossi dalla volontà di celebrare il Natale. Le ragioni che li hanno mosse sono differenti. Prevalentemente strategiche e propagandistiche per Putin. Anche religiose per Kirill.

Putin ha bisogno di una pausa per riorganizzare le sue forze e per addestrare i riservisti. Può farlo senza difficoltà solo se le sue unità non sono sottoposte alla controffensiva e alle azioni di fuoco in profondità degli ucraini. Anche le 36 ore di tregua possono essere utili al riguardo. Inoltre, la proposta tregua unilaterale – estesa a tutto il fronte e non solo locale, come avvenuto in precedenza, ad esempio a Mariupol – fa parte della sua campagna di propaganda volta ad accreditare Mosca della volontà di pace, rispetto a Kiev che vorrebbe la guerra. Le speranze che la tregua da temporanea possa divenire permanente sono illusorie. Non esistono le condizioni che permettano l’inizio di negoziati né il prolungamento della tregua, come accadde in Corea. Infatti, Putin pone come precondizione il riconoscimento dell’annessione, oltre che della Crimea, delle quattro regioni annesse dalla Russia. Kiev la pone nel ritiro di Mosca da tutti i territori occupati.

Sicuramente Kirill è mosso anche da considerazioni religiose. In Ucraina esistono tre Chiese ortodosse. Una, quella indipendente, è di entità trascurabile (1,5% degli ucraini ortodossi). Due sono invece in diretta competizione fra loro. La Chiesa ortodossa dell’Ucraina (OCU-Kiev) riconosce dal 2019 la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli. Fortemente nazionalista cerca di eliminare dai suoi rituali tutto ciò che possa ricordare i suoi passati legami con il Patriarcato di Mosca. Tende a celebrare il Natale il 25 dicembre, secondo il calendario gregoriano, adottato da cattolici e protestanti. Sembra che il 60% degli ucraini ortodossi l’abbia festeggiato in tale data; solo il 20% lo celebrerà il 7 gennaio; il restante 29%, tanto per non sbagliare, lo farà in entrambe le date. La Chiesa ortodossa dell’Ucraina-Patriarcato di Mosca (UOC-PM), invece, riconosce la giurisdizione di quest’ultimo. Ha cercato però di distaccarsene. Il suo capo, Onofrio, ha duramente criticato Kirill, per il sostegno dato all’aggressione di Putin, aggiungendo ai suoi obiettivi geopolitici quelli di “de-satanizzare” l’Ucraina e di liberarla dal passato della tolleranza verso i gay, per riportarla ai valori tradizionali dell’Ortodossia. Onofrio ha abolito ogni riferimento a Kirill nelle funzioni religiose e ha chiamato “atto di Caino” l’aggressione russa. In compenso, Kirill ha nominato un metropolita della Crimea, distaccandola dall’UOC-PM. Nonostante il tentativo di separazione da Mosca, i servizi di sicurezza di Kiev sospettano che una parte della UOC-PM, soprattutto nei monasteri, collabori con i russi.

Certamente Kirill, con la sua richiesta di tregua, ha cercato di sottolineare che il “vero Natale” è quello di Mosca. Comunque sia, la UOC-PM, che era maggioritaria in Ucraina, ha visto diminuire grandemente il numero dei suoi fedeli e delle sue parrocchie, passati dal 70 al 30% del totale, malgrado che il numero di praticanti sia aumentato in modo considerevole. Molti trovano nella religione conforto alle sofferenze e alle privazioni del conflitto. Quella di Kirill può essere stata accolta con favore dai soldati e dalla popolazione russi. Ben difficilmente può avere effetti sugli ucraini o sulla possibilità di un serio negoziato di pace o di tregua permanente.

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