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Di gialloverde si è vestita la legislatura all’inizio; gialloverde è l’abito che ha indossato per intonarle il de profundis. Al Senato è andato in scena il replay di quanto accaduto una settimana fa. Allora furono i Cinque Stelle a non votare la fiducia sul decreto Aiuti e il presidente del Consiglio salì al Quirinale per dimettersi. Oggi il copione si è ripetuto e rafforzato, con l’aggiunta cioè del centrodestra che assieme al M5S esce dall’aula o rimane ma per non votare la fiducia e al premier non resta che rifare il tragitto verso il Colle. Stavolta le dimissioni saranno irrevocabili e Sergio Mattarella non potrà respingerle.

Il punto politico è chiaro. Le forze più marcatamente populiste hanno provato quattro anni e mezzo fa a governare il Paese. Non ci sono riuscite e allora Matteo Salvini cercò la prova di forza sull’abbrivio del successo alle elezioni Europee. Fu uno schianto che gli è costato la metà dei consensi. Adesso Giuseppe Conte gli ha abbassato il ponte levatoio della cittadella del governo e il Capitano – con l’avallo di Forza Italia ed è anche questo un elemento politico da non sottovalutare: la ministra Gelmini ha annunciato l’intenzione di lasciare il partito – è entrato con le sue truppe a decretare la fine dell’esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce e, presumibilmente, l’avvio della campagna elettorale se Mattarella davvero scioglierà le Camere.

Meglio dirlo chiaro: lo spettacolo non è stato entusiasmante. Alcuni dei partiti maggiori hanno messo le proprie convenienze al di sopra dell’interesse generale: e così nessun esecutivo può reggere, nemmeno quello che ha navigato sul “miracolo civile” descritto da Mario Draghi che ha consentito di superare la pandemia e mettere nero su bianco il Pnrr con annessi 200 miliardi della Ue. Che adesso sono assai più precari di prima.

Conte ha strappato la fragilissima tela di ragno su cui si reggevano le larghe intese perché convinto in tal modo di recuperare i consensi perduti, prima a favore della Lega poi confluiti nell’area del non voto. Salvini e Berlusconi, con alle spalle il pungolo di Giorgia Meloni sempre più in corsa per succedere a Draghi, si sono infilati nel varco insperabilmente aperto dall’avvocato del popolo. Se si va alle urne con l’attuale legge elettorale possono sperare di vincere nel proporzionale e addirittura stravincere nei collegi uninominali. Possono provare a disgregare definitivamente il MoVimento e dare un colpo di maglio al Pd. Come non approfittare di una simile opportunità? E pazienza per Draghi, appoggiato obtorto collo e mai davvero fatto proprio. Torni pure a fare il banchiere, l’era dei tecnici di governo è sul viale del tramonto, adesso saranno gli elettori a decidere. Tocca ai politici governare.

Ci sono ancora alcune torsioni politico-procedurali da appianare. Intanto lo scrutinio al Sento sorretto dal numero legale: in assenza si dovrebbe ripetere la voto, così da farci ridere dietro da tutto il mondo. Il secondo sono le intenzioni del Colle, se cioè sciogliere subito (opzione già avanzata) oppure se provare comunque ad arrivare alla scadenza naturale della legislatura ancora con Draghi dimissionarono (se ci sta) oppure con un altro governo tecnico seppur di minoranza.

Si vedrà. Certo è che la fine dell’esperimento draghiano segna una sconfitta anche per Mattarella, che di quell’esecutivo “non ancorato ad alcuna formula politica” e sorretto da una maggioranza tanto larga quanto eterogenea è stato l’inventore e il sostenitore. Finché ha potuto. Possono compiacersi anche i tanti che hanno brigato per impedire a Draghi di diventare capo dello Stato squadernando sorrisi di furbizia. SuperMario non è al Quirinale e presto non sarà nemmeno a Palazzo Chigi: un capitale umano, di autorevolezza e di competenza unico gettato alle ortiche.

Le dimissioni del Presidente del Consiglio dovrebbero portarsi appresso anche i funerali del campo largo di stampo Pd. Costituire alleanze con chi così platealmente si è divaricato su uno spartiacque fondamentale non sarà facile da spiegare.

La realtà è che in queste settimana così decisive e a loro modo istruttive si sono confrontati non i classici schieramenti destra-sinistra bensì populisti vs antipopulisti, questi ultimi capeggiati proprio da SuperMario. Hanno vinto i primi. Possono prevalere anche nelle urne. In bocca al lupo, Italia.

Il de profundis della legislatura si tinge di gialloverde. Il mosaico di Fusi

La realtà è che in queste settimana così decisive e a loro modo istruttive si sono confrontati non i classici schieramenti destra-sinistra bensì populisti vs antipopulisti, questi ultimi capeggiati proprio da SuperMario. Hanno vinto i primi. Possono prevalere anche nelle urne. In bocca al lupo, Italia

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