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Alla vigilia dell’incredibile avvitamento della Legislatura, la politica italiana ha assistito a un altrettanto incredibile ribaltone del rapporto tra politica e magistratura, attraverso l’epilogo giudiziario del caso Descalzi-Eni.

La Procura generale di Milano, all’avvio del processo di secondo grado sulle presunte tangenti Eni e Shell in Nigeria, ha presentato la rinuncia all’appello contro la sentenza del Tribunale che aveva assolto le due società e tutti gli imputati, fra i quali l’ad di Eni, Claudio Descalzi. La sostituta procuratrice generale, Celestina Gravina, ha presentato l’atto di rinuncia che apre le porte all’assoluzione definitiva.

La Procura generale ha deciso di sottrarsi a un accanimento forcaiolo smontato dal Tribunale di Milano che lo scorso mese di marzo aveva assolto “perché il fatto non sussiste” le due società e tutti gli imputati fra i quali Descalzi, l’ex ad di Eni, Paolo Scaroni, e quattro ex dirigenti di Shell, dall’accusa di aver pagato un miliardo di dollari di tangenti su 1,3 miliardi di dollari versati su un conto del governo nigeriano per lo sfruttamento del giacimento Opl-245 nel 2011. I fatti contestati andavano da fine 2009 al 2014. Gli imputati hanno sempre respinto le accuse, sottolineando che il prezzo dell’acquisto fu versato su un conto ufficiale del governo e che il successivo trasferimento di oltre un miliardo su altri conti era al di fuori della sfera d’influenza delle società acquirenti.

Si dirà che si tratta di rapporti tra magistratura e finanza (ed economia) ma quando si parla di Eni la politica c’entra, eccome. Si tratta di manager di Stato che vengono scelti e supportati – non sempre, talvolta a intermittenza – dalla politica e dai politici governanti di turno. Grand commis d’Etat? In qualche modo sì, e ai massimi livelli. La politica estera dell’Italia è in gran parte condotta e guidata dalle scelte delle grandi imprese pubbliche come Eni o Enel, soprattutto in questi anni di sempre più drammatica e irrinunciabile transizione ecologica ed energetica.

Non solo. La politica c’entra, eccome, proprio per il ruolo innegabilmente politico che la Procura di Milano almeno da trent’anni (da Mani pulite in poi) e la magistratura italiana nel suo complesso ha “voluto” (qualcuno vorrebbe dire “dovuto”, ritenendo i giudici dei volenterosi supplenti di una classe politica da archiviare, con le buone o con le cattive) svolgere.

Con la decisione della Procura generale di Milano è stato certificato che i Pm possono avere torto e la loro volontà persecutoria è quella codificata dalla famosa frase di Piercamillo Davigo: «Non esistono politici innocenti ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove». Il teorema vale anche per i top manager e i grand commis di Stato.

Inutile fingere che la questione non echeggi nella biografia di chi scrive. A differenza di Descalzi, difeso – e giustamente dalla politica, e qui bisogna dare atto a Matteo Renzi che lo volle al vertice dell’Eni, nonostante l’indagine e il rinvio a giudizio – capita spesso che il politico di turno abbia concesso ai magistrati di imbandire banchetti dove il pasto è stato spesso rappresentato da inquisiti da sacrificare.

Dopo anni di battaglie con le Procure, a colpi di rinvii, mancato rispetto dei termini, rapporti della polizia giudiziaria superficiali e incompleti e dopo le prime soddisfazioni dei giornalisti meno professionali e più parziali arrivano i proscioglimenti e le assoluzioni. La reputazione degli indagati non difesi – Descalzi fa parte fortunatamente di un club di “mosche bianche” per via della difesa che ha avuto dalla politica da Renzi in poi – è irrimediabilmente compromessa, senza che lo sia quella dei giudici che hanno sbagliato e dei politici che hanno preferito offrire in pasto qualche vittima al populismo che poi tanto spesso condannano.

Con il caso Descalzi-Procura generale di Milano è finito un malcostume? Ci piacerebbe credere di sì, ma temiamo che resterà un episodio. I cattivi politici hanno bisogno di cattivi magistrati e tutti e due contano su giornalisti disposti a tutto, tranne che a credere che le persone sono innocenti fino al terzo grado di giudizio.

Finalmente un colpo al malcostume giudiziario

Con il caso Descalzi-Procura generale di Milano è finita un’era? Ci piacerebbe credere di sì, ma temiamo che resterà un episodio. I cattivi politici hanno bisogno di cattivi magistrati e tutti e due contano su giornalisti disposti a tutto, tranne che a credere che le persone sono innocenti fino al terzo grado di giudizio. Il commento, segnato dalla storia personale, di Antonio Mastrapasqua

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