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Il prossimo 2 giugno la Repubblica Italiana compie 76 anni. Si tratta di un’età rispettabile, anche se molti Paesi occidentali possono vantare regimi repubblicani più longevi del nostro. Come in ogni compleanno, vale la pena ricordare come eravamo il 2 giugno 1946, per apprezzare appieno come siamo oggi.

La nostra repubblica è nata povera: eravamo appena usciti da una guerra persa in modo catastrofico, seguita da quasi due anni di occupazione straniera; le potenze vincitrici, nell’imminenza del referendum istituzionale, interferirono pesantemente, per influenzarne l’esito, con varie misure, tra cui il deliberato ritardo nel far rientrare i nostri numerosi prigionieri di guerra.

Fatto ancora più grave, eravamo profondamente divisi, tra i fedeli a oltranza della Monarchia, gli internazionalisti di fede comunista, e chi aveva militato, in campi opposti, durante la nostra cobelligeranza con le Nazioni Unite.

Sembrava, quindi, che non ci fossero quelle solide basi di consenso popolare, indispensabili per far ripartire il Paese e far durare il nuovo sistema politico nel tempo. Invece, piano piano il nostro popolo si è reso conto di avere, in una repubblica parlamentare come la nostra, la sovranità, e che questo potere implicava una pesante responsabilità, che non poteva essere sottovalutata.

Le scelte popolari, in questo lungo periodo, sono state tutte sensate, sia pure con gli inevitabili alti e bassi, un segno di quel buon senso collettivo che è diventato uno dei nostri segni distintivi, e che ci ha permesso di progredire socialmente ed economicamente, grazie all’industriosità, alla propensione al risparmio e alla capacità di non spingere la maggior parte dei contenziosi fino all’estremo limite.

Non c’è dubbio, le tensioni sociali non sono state né lievi né tantomeno indolori, abbiamo passato momenti drammatici, subito perdite dolorose, ma abbiamo saputo appoggiare l’opera dei nostri governi nel neutralizzare le frange più violente e distribuire il benessere, a mano a mano che veniva creato dai nostri lavoratori e dai nostri imprenditori.

Oggi, da Paese di emigrazione siamo diventati una meta per gli immigrati dalle zone tormentate del mondo, ad est e a sud rispetto a noi. Ci lamentiamo di questo fenomeno, ma non ci rendiamo conto di quanto esso sia la prova del progresso di cui noi Italiani siamo stati gli artefici. Certo, non siamo un Paese dove tutti stanno bene, abbiamo ancora sacche di povertà e di sottosviluppo, ma stiamo molto meglio, rispetto al 1946. La ripartenza ci ha giovato molto e ci ha fatto maturare.

Quest’anno, poi, è prevista la parata militare, un altro segno di progresso, dopo due anni di una tra le più letali pandemie della Storia. Le nostre Forze Armate e le nostre Forze dell’Ordine, sia pure tra mille difficoltà, sono progredite in tutti questi anni, iniziando dalle uniformi cachi, prestateci dagli inglesi insieme ad armamenti di seconda mano, continuando quali attori, sia pure secondari, della Guerra Fredda, per diventare i migliori pacificatori delle aree colpite da conflitti, che noi abbiamo contribuito a stabilizzare. Le perdite umane che abbiamo subito in quest’opera di pacificazione non sono state vane e non debbono essere dimenticate.

Anche sul piano interno, le nostre FFAA hanno appoggiato le Forze dell’Ordine, nel difficile compito di contrastare la criminalità, gestire le emergenze naturali e di affermare la legalità, ben meritando ogni giorno per la loro opera, spesso silenziosa e poco appariscente, a favore della nostra popolazione.

Ora, è necessario che la nostra opinione pubblica comprenda che i tempi stanno cambiando, e che le nostre missioni saranno sempre meno di peacekeeping e sempre più combat, almeno sul piano della preparazione: dovremo infatti contribuire, insieme ai nostri alleati della Nato e agli altri membri dell’Unione europea, a tenere lontane dai nostri confini le minacce e il rischio di guerra, da parte di chi ci vuole male, e proteggere le nostre attività vitali. Non sarà una transizione facile, dopo quasi 30 anni di peacekeeping, ma è uno sforzo essenziale da compiere, per garantire la nostra sopravvivenza, come Nazione indipendente, e il nostro benessere.

In fondo, la parata del 2 giugno è anche l’occasione, per il nostro popolo, di mostrare il proprio appoggio alle Forze Armate, che si accingono a compiere questa difficile trasformazione, sotto l’egida del governo e del Parlamento.

Da dove veniamo, dove vogliamo andare. Cosa significa il 2 giugno

In fondo, la parata del 2 giugno è anche l’occasione, per il nostro popolo, di mostrare il proprio appoggio alle Forze Armate, che si accingono a compiere questa difficile trasformazione, sotto l’egida del governo e del Parlamento. Il commento dell’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, esperto militare e docente di Studi strategici

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