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In un dramma di Tennessee Wiliams, nella New Orleans del secolo scorso c’erano solo due tram, uno chiamato “desiderio” ed uno chiamato “cimitero”. Nella Roma di allora c’erano molti più tram: quasi tutto il servizio pubblico di massa era su rotaie. Oggi non esistono tram dai nomi evocativi come “desiderio” e “cimitero”. L’evocativo “desiderio” è, però, legato ai taxi. Quando li cerchi, non li trovi.

Se vuoi pagare con carta di credito (come ti incoraggia la loro stessa centrale), il “pos” – viene detto –  è fuori servizio e o paghi cash (senza ricevuta fiscale) o allunghi la corsa di qualche chilometro (a spese tue) per trovare (alla centrale) uno strumento che vada bene. Chiunque viva in una grande città italiana sa perché il taxi si chiama desiderio soprattutto se raffrontato con quelli delle altre grandi città europee ed americane. Per non parlare delle tariffe: più care che a Parigi ed a New York.

Qualche anno dopo il dramma di Tennessee Wiliams, in Francia ebbe un certo successo un romanzo intitolato “Un taxi mauve” di Michel Déhon. Si svolge nell’Irlanda degli Anni Sessanta, isola verde ed allora a basso reddito; non era ancora diventata la “tigre celtica”, rampante in seguito all’accesso all’Unione Europea. I taxi erano pochi, rigorosamente contingentati e tutti di colore nero. L’eccezione era il taxi color malva col quale i protagonisti traversano il Paese alla ricerca di se stessi.

Oggi in Irlanda il taxi color malva non c’è più. I taxi non sono più tutti neri. Sono numerosi, spediti e danno lavoro a tanti micro-imprenditori. Ciò è avvenuto a ragione di una sentenza della Corte Costituzionale. Nel 2000, dopo estenuanti (ed inconcludenti) trattative tra le autorità (a differenti livelli di governo) e i rappresentanti della categoria, le associazione di tutela dei consumatori si rivolsero alla suprema magistratura. Le motivazioni della sentenza e un’analisi delle sue implicazioni economiche sono riassunte nel saggio di Sean Barret della Università di Dublino pubblicato alle pp. 34-40 del trimestrale “Economic Affairs” dell’aprile 2004 (circa 20 anni orsono). Eloquente il titolo: “Regulatory capture, property rights and taxi deregulation: a case study” (“Cattura delle regole, diritti di proprietà e deregolazione dei taxi: un caso di studio”).

La Corte fa riferimento non solo al principio della non-discriminazione (analogo a quello sancito all’art.3 della Costituzione italiana) ma anche al “titolo”, per chi ne ha la formazione e capacità, di avere accesso al settore e a quello, speculare, dei cittadini di acquistare i servizi dal migliore offerente (se fornisce garanzie di professionalità): sono “titoli fondamentali”, tutelati dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo che ha da poco compiuto 72 anni e a cui Irlanda (e Italia) aderiscono.

Leggi e regolamenti che limitavano l’accesso alla professione sono stati immediatamente abrogati, il numero di taxi è triplicato, l’occupazione nel settore quadruplicata (secondo alcuni, quintuplicata). Ad un’analisi dei costi e dei benefici sociali (relativa, quindi, al benessere della collettività ed in particolare dei più poveri) la deregolazione risulta avere avuto un tasso di rendimento interno del 30%; tra i benefici, sono stati computati unicamente la riduzione dei tempi di attesa per gli utenti e l’incremento dell’occupazione.

I vantaggi maggiori sono andati agli strati a più basso reddito della popolazione. Gli svantaggi finanziari a chi ha perso rendite di posizione. Dopo alcuni anni, nel mezzo della crisi finanziaria del 2008-2009, si è tornati ad una regolamentazione ma molto semplice: oggi nella Repubblica, la cui popolazione è analoga a quella di tutta Roma, ci sono 40mila taxi “autorizzati”, cinque volte il numero di quelli in circolazione nella nostra Roma Capitale.

I taxi hanno scioperato per due giorni per bloccare il disegno di legge sulla concorrenza al cui art.10 si prevede una ri-regolamentazione molto modesta se raffrontata ad esempio con quella irlandese. Negli ultimi giorni, sono uscite notizie su malversazioni fatte in passato da Uber (che i tassisti considerano una “bestia nera”): la magistratura appurerà se ci sono stati reati e da parte di chi.

Non sappiamo se le nostre associazioni dei consumatori sceglieranno la via giudiziaria (sino alla Corte Costituzionale) per risolvere il nodo dei taxi nelle grandi città italiane ed in particolare a Roma. Non sappiamo se i giudici italiani seguiranno l’orientamento dei loro colleghi irlandesi (nonché di quelli di Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Benelux e sette dei nuovi Stati membri dell’Ue). Siamo consapevoli del danno finanziario che una liberalizzazione dall’oggi al domani porterebbe a chi ha appena acquistato una licenza a caro prezzo (prassi frequente anche se, dicono i giuristi, illegale dato che le licenze sono concesse gratis e non possono essere oggetto di compravendita tra privati).

Chi difende l’esistente perde, comunque, sempre. Chi guarda all’eterno passato perde male. Ci pensi chi è alla guida di un taxi.

Un taxi chiamato desiderio. La lezione irlandese

Nel 2000 fu la Corte costituzionale, attivata dalle associazioni di consumatori, a liberalizzare il mercato dei taxi in Irlanda. Un Paese con 5 milioni di abitanti, più o meno come il Lazio, che però ha cinque volte il numero di taxi. A difendere rendite di posizione, si perde tutti

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