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Essere pionieri vuol dire affrontare sentieri che nessuno ha avuto il coraggio di percorrere prima, puntando su idee nuove e assumendosi rischi.

La Procreazione Medicalmente Assistita (Pma) è stata considerata per anni, almeno dalla metà del secolo scorso, un’attività pionieristica. Le terapie per contrastare l’infertilità hanno conosciuto uno sviluppo scientifico ispirato innanzitutto dai sogni e dai bisogni non soddisfatti delle coppie che non riuscivano ad avere figli. Non è mai stato un percorso facile, proprio perché l’infertilità non è soltanto un tema clinico o di cura, ma sfiora sensibilità individuali, di coppia, etiche, religiose, politiche. Ma proprio l’evoluzione della ricerca e delle cure ha consentito un approccio via via più positivo alle tecniche di sostegno alla riproduzione. Un percorso che ha avuto ed ha ancora proprio in Italia uno dei principali centri di eccellenza, grazie appunto a uno spirito pionieristico che si è tenuto vivo negli anni.

Oggi una delle sfide è quella di rendere più semplice e diffuso l’accesso alla Pma, con costi sostenibili per le coppie e per il servizio sanitario nazionale. Ma soprattutto con un’azione complessiva che unisca al supporto clinico un discorso di prevenzione, di educazione, di informazione. Un percorso di “sostegno alla genitorialità” che inizia ben prima di diventare “pazienti” e che riguarda l’intera società civile, dalle scuole ai corpi intermedi, dalle istituzioni alle realtà associative. Un tracciato di consapevolezza che ha bisogno di parole giuste, di domande e di risposte, di tempi e di spazi che hanno nello studio del medico solo uno dei momenti importanti: un passaggio certamente cruciale, ma non l’unico.

Le persone dovrebbero essere informate anche dei fattori che influenzano la fertilità: in primis l’età, ma non solo. Anche il fumo, l’alcool, l’obesità, e il peso troppo basso impattano sulla possibilità di avere figli e riducono le percentuali di successo della Pma. Ecco perché dovremmo parlare di un approccio “olistico” al paziente e alle sue necessità.

Prendiamo l’esempio di una tecnica molto avanzata per la preservazione della fertilità: il Medical Egg Freezing. In pratica, si tratta di procedere preventivamente alla crioconservazione di un certo numero di ovociti, cioè il loro congelamento e la loro conservazione a temperature molto basse.

Tale tecnica può rivelarsi davvero importante in condizioni di salute particolarmente serie. Poniamo il caso di una paziente oncologica. Le terapie di contrasto al cancro possono avere come dolorosa conseguenza l’impossibilità di avere figli. C’è un’esigenza primaria, quindi, che è quella di impedire che il tumore progredisca e metta a repentaglio la vita della paziente. Ma c’è un’esigenza altrettanto forte, altrettanto vitale: quella di una paziente che vuole e può ancora aspirare ad avere figli. Il Medical Egg Freezing è consentito nel nostro Paese, ma non coperto integralmente dal Ssn. O meglio: i trattamenti associati all’egg freezing per soggetti con patologie oncologiche sono rimborsati dal servizio sanitario. Anche qui si rende necessario un percorso di formazione e informazione, che passa per i pazienti, per i loro medici, per le strutture di cura. Non sempre infatti, ad una donna che deve iniziare una terapia di contrasto al cancro, viene prospettato un percorso di preservazione della fertilità.

Il tema non è solo quello di garantire la qualità della vita – prima, durante e dopo le terapie oncologiche – ma quello di proteggere l’essenza stessa della vita, che è fatta di scelte, di desideri, di progetti, di emozioni. Anche qui è importante sensibilizzare a un approccio olistico, che favorisca lo scambio di informazioni essenziali per la preservazione della fertilità tra medici e pazienti. Azioni di questo tipo, poi, non dovrebbero limitarsi solo all’ambito oncologico: sono tante le patologie che possono minacciare la fertilità e consigliare un approccio di Medical Egg Freezing, e tutti gli attori in gioco dovrebbero dare il loro contributo per sensibilizzare, informare e supportare i pazienti su questa possibilità.

Rialziamo lo sguardo. Dalla vicenda individuale rivolgiamoci al contesto sociale ed economico in cui viene utilizzata la Pma. Se ci fosse più sostegno alla genitorialità ne beneficerebbe l’intero sistema, soprattutto in un Paese in drammatica crisi demografica come l’Italia. Per provare concretamente il contributo delle nascite alla sostenibilità, abbiamo sviluppato un modello fiscale basato sull’epidemiologia dell’infertilità, in collaborazione col farmaco-economista Mark Connolly. Sulla base del numero potenziale di coppie che avrebbero potuto accedere ad un trattamento per l’infertilità in Italia, si è visto che sarebbero potuti nascere 35.093 bambini in più rispetto ai 12.958 effettivamente nati da Pma nel 2018. Questi bimbi in più avrebbero portato in dote 18,3 miliardi di euro di entrate fiscali lorde aggiuntive nel corso della loro vita.

Anche in questo percorso, allora, avremmo bisogno ancora di pionieri, del loro spirito di ricerca e del loro senso di scopo. Perché pensare a un modello di “utilità economica” della fertilità può sembrare troppo visionario o – al contrario – utilitaristico. Ma la virtù sta proprio nel sapere mettere a fattor comune due obiettivi apparentemente slegati, nel tenere insieme il valore personale e quello sistemico del “diventare genitori”. Qui è il luogo della politica, delle scelte individuali e di quelle collettive, della spinta delle imprese e del contributo delle comunità. Una sfida difficile, ma non irraggiungibile: per fortuna, come la storia della scienza applicata alla fertilità dimostra, esistono pionieri che si impegnano quotidianamente per dare sostanza ai sogni.

Fertilità e procreazione, una visione pionieristica. Scrive Kirsten (Merck)

Di Jan Kirsten

Se ci fosse più sostegno alla genitorialità ne beneficerebbe l’intero sistema, soprattutto in un Paese in drammatica crisi demografica come l’Italia. Pensare a un modello di “utilità economica” della fertilità può sembrare troppo visionario o – al contrario – utilitaristico. Ma la virtù sta proprio nel sapere mettere a fattor comune due obiettivi apparentemente slegati. L’intervento di Jan Kirsten, presidente e amministratore delegato, Healthcare, Merck Italia

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