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Tra i pochi vantaggi dell’invecchiare vi è una nuova leggerezza con cui si affronta la vita. Ansie e rimorsi lasciano spazio ad una tranquillità che fa apprezzare la metà piena del bicchiere. La paura di morire cessa di essere ossessione da adulto post-adolescenziale. Dall’astratta ricerca iniziale del Senso-della-Vita si passa col tempo al pragmatico compromesso del dare un Senso-alla-Vita, come fossero due fasi contrapposte.

Pochi sono coloro che, grazie ad un percorso inverso, trovano da subito e per prima una ragione d’essere grazie al proprio lavoro; che svolgono con maturità professionale e passione giovanile.

Amedeo Ricucci apparteneva a questa rara categoria.

Dagli esordi da freelance fino all’attività da Senior Foreign Correspondent ha incarnato al meglio il ruolo dell’inviato in prima linea degli scenari di crisi; a tal punto da non scindere la dimensione lavorativa dalla personale. Le due si alimentavano a vicenda, dando fascino all’uomo e credibilità al reporter.

Poiché scrivere di un amico scomparso espone al rischio retorico, è bene ricordare qui alcune delle qualità umane e capacità professionali che hanno reso Amedeo speciale nel suo lavoro e impossibile da non volergli bene nel privato.

Il suo giornalismo era di assoluta sostanza, puro e fattuale. Di ricerca e spesso investigativo. Con informazioni di prima mano, raccolte di persona là dove gran parte degli inviati non osava spingersi per timore del pericolo incombente.

Era mosso dal fiuto per lo scoop, ma non a tal punto da assoggettare la realtà ad un’ipotesi iniziale, anche se accattivante. Questo lo rendeva fonte primaria– spesso unica – per l’analista, nonché partner di lavoro ideale per scambi reali di notizie e chiavi di lettura.

Lupo solitario, si muoveva in autonomia fuori dai circuiti predefiniti per la stampa internazionale anche nelle zone di crisi (dagli alberghi riservati alle “zone verdi”) e preparava lui stesso le proprie strategie di ingresso e permanenza sul campo.

Nonostante un tale coraggio ai limiti dell’incoscienza fosse sufficiente per accreditarlo, si documentava a fondo prima di ogni missione e alla frequentazione dei colleghi preferiva quella degli altri attori locali. Dalle parti in guerra agli operatori internazionali, senza distinzioni o preclusioni.

Lo conobbi in Bosnia per la prima volta nel lontano 1994 nel pieno delle guerre in corso nei Balcani Occidentali, le cui culture aveva imparato a conoscere e distinguere con sorprendente capacità. Nel decennio che seguì diventammo amici e organizzammo svariate missioni congiunte.

Interprete di un giornalismo dal fronte alla Ernest Hemingway, lavorava molto di taccuino; senza narcisismo e noncurante della sua immagine personale. Il che ne aumentava la genuinità del carisma.

La cosa più eccezionale era il suo continuo adoperarsi, in silenzio e lontano dai riflettori, per le vittime civili del conflitto, facendosi carico di numerosi casi individuali che incontrava strada facendo. L’esatto opposto della Tv del Dolore alla continua ricerca della lacrima facile a gettone, da sbandierare ai soli fini dell’audience.

Allontanatosi dagli scenari di guerra per via di una grave malattia, Amedeo non ha rinunciato fino all’ultimo a lavorare, dando tutto se stesso. Quando un anno fa ci incontrammo nella Repubblica di San Marino, si presentò al solito documentatissimo sul tema dei vaccini e montò in mezza giornata un magistrale servizio per il TG1 sull’impatto geo-politico dello Sputnik V.

Forse un approccio cosi totalizzante alla sua professione ne ha aggravato il precario stato di salute e contribuito alla sua scomparsa prematura.

Ha tuttavia anche permesso a Ricucci di dare un Senso alla Vita che continuerà in quanti hanno avuto il privilegio di lavorarci e di essergli amici.

In memoria del senso alla vita di Amedeo Ricucci

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