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La ritrovata o riscoperta centralità del Mediterraneo risulta evidente se guardiamo a tutte le crisi e l’instabilità che caratterizzano l’area e che coinvolgono direttamente l’Europa e dunque l’Italia. Sebbene l’attenzione strategica globale sia rivolta verso l’Indo Pacifico, e mentre le evoluzioni della guerra russa in Ucraina aprono a vari scenari riguardo al futuro russo, la regione mediterranea è tuttora scenografia della competizione geopolitica contemporanea.

Alcune crisi sono di certo strutturali: lo squilibrio demografico, la mancata perequazione socio-economica, il cambiamento climatico con i disastri ecologici che sta provocando. 

Altre crisi sono più contingenti, legate a difficili congiunture economiche (aumento del prezzo del grano o del petrolio), a instabilità politiche, a scontri settari come la polarizzazione interna alla umma islamica tra sunniti e sciiti, effetto della rivalità tra Iran e monarchie del Golfo ed Egitto; alle conseguenze delle cosiddette Primavere arabe che hanno portato a conflitti ancora aperti come in Libia, nello Yemen, a una Siria stabilizzata ma tutta da ricostruire, al pericolo che ancora rappresenta la minaccia securitaria jihadista, alle contese geopolitiche e geoenergetiche che ruotano attorno al Mediterraneo orientale che rappresenta oggi, per lo sfruttamento e il controllo delle immense risorse offshore di gas naturale trovate in questo bacino, quella che alcuni ricercatori definiscono the eye of a gathering geopoliticalstorm”, ricorda Alessia Melcangi, docente di Storia contemporanea del Nord Africa e del Medio Oriente alla Sapienza di Roma e non-resident fellow dell’Atlantic Council.

“Altrettanto molteplici — continua Melcangi in una conversazione con Formiche.net — sono dunque le sfide principali poste da tali crisi all’Europa e all’Italia, sfide derivanti da scenari conflittuali per lo più interconnessi tra loro: la crisi migratoria è un esempio evidente di una dinamica che ha avuto e continuerà ad avere un forte impatto sulla sponda Nord del bacino per i decenni a venire in termini umanitari prima di tutto, ma anche di sicurezza; l’instabilità politica, istituzionale ed economica che caratterizza ormai la Libia dalla caduta del rais Gheddafi rappresenta una sfida fondamentale per l’Unione Europea e l’Italia in termini non solo di stabilità del bacino, di interessi economici ma anche energetici, questione quella della sicurezza energetica che in questa congiuntura particolare di certo riveste un ruolo di primissimo piano”.

In questo senso la tensione che nell’ultimo decennio è emersa tra la Turchia, membro Nato, e diversi attori regionali, tra cui i Paesi del Golfo e l’Egitto, ma anche alcuni membri dell’Unione, tra cui la Francia o la rinnovata animosità con la Grecia, proprio nel Mediterraneo Orientale ha nei fatti rallentato e reso faticoso lo sviluppo di una di una cooperazione energetica e di sicurezza multilaterale i Paesi rivieraschi. Una delle vittime di questa escalation è di certo il gasdotto Eastmed, progetto di grande rilevanza che dopo una fase di stallo sembra adesso aver ripreso quota.

“Su tutto questo, non possiamo non evidenziare come il conflitto russo-ucraino abbia evidenti ricadute in termini di emergenza alimentare e dunque umanitaria sul Mediterraneo, e come queste emergenze potenzialmente possano avere un impatto devastante sui paesi dell’Africa e del Levante con economie e sistemi politici già fragili”, aggiunge la docente: “Un fattore questo che provocherebbe carestie e dunque gravi tensioni sociali. Situazioni molto simili a quelle che portarono nel 2011 alle proteste nella regione. E dunque ancora flussi migratori e instabilità”.

C’è poi anche una centralità positiva nel Mediterraneo, legata ai commerci, agli scambi, alla diversificazione energetica, alle varie forme di cooperazione in costruzione. La regione si trova, inoltre, al centro delle principali rotte energetiche internazionali da dove transita la maggior parte del petrolio e del gas mondiale in direzione est-ovest (Asia-Europa). Lo sfruttamento di queste immense risorse gioca un ruolo estremamente importante sia a livello geoeconomico sia a livello geopolitico, dato che la regione può legittimamente aspirare a divenire non solo uno hub energetico fondamentale per l’Europa, ma un fornitore diretto di gas.

“Un mare, il Mediterraneo, che presenta quindi sia note criticità e tensioni politiche, ma anche evidenti opportunità economiche e che permetterebbe di ridurre la vulnerabilità energetica del Vecchio Continente. Tanto più che il peggioramento delle relazioni con la Russia di Putin ha fatto emergere la pericolosa vulnerabilità europea derivante da una troppo accentuata dipendenza dalle forniture e dai gasdotti russi”, continuala professoressa della Sapienza, dove insegna anche Geo-storia del Mediterraneo e del Medio Oriente.

In tutto questo, quale ruolo per l’Italia? “È necessario — risponde Melcangi — evidenziare una situazione molto importante che è attualmente in corso nella regione del Mediterraneo allargato, ossia una generale riconfigurazione delle dinamiche e delle alleanze tra gli i principali attori dell’area, un rapprochement generale tra storici rivali con l’obiettivo di moderare le tensioni e far emergere nuove collaborazioni strategiche”. “Parlo — aggiunge — principalmente delle iniziative intraprese dalla Turchia, fino a poco tempo fa decisamente assertiva e oggi molto più disposta al dialogo con attori fino a poco tempo fa rivali geopolitici”.

Questo ci fornisce l’idea che qualcosa si sta muovendo e di quanto questo cambiamento possa diventare davvero un game changer per l’area e non solo. Nel rilanciare queste relazioni gli attori regionali credo stiano inviando un messaggio chiaro, non essere più attori reattivi ma attivi delle dinamiche dell’area e internazionali. 

L’urgenza ora sembra quella di favorire una ricomposizione del disordine del Mediterraneo attraverso lo sviluppo di accordi multilaterali tra gli attori mediterranei e mediorientali, la creazione di un’architettura di sicurezza più stabile nella regione che possa trovare una soluzione, intanto, di breve periodo alla questione energetica e alimentare, mitigando così l’impatto del conflitto ucraino. “Contestualmente — continua Melcangi — per l’Europa sarà necessario rafforzare le relazioni transatlantiche e promuovere soluzioni di lungo termine per contrastare la crescente influenza di attori internazionali come Cina e Russia”.

Alla luce di ciò, tale generale riallineamento può diventare un banco di prova per verificare la capacità dell’Europa e dell’Italia di intervenire a più livelli negli scenari di crisi attenuandoli e facilitandone la composizione? “L’Europa deve impegnarsi a oltrepassare i limiti storici e cercare un nuovo engagement che sia efficace con l’altra sponda, il che richiede un approccio strategico lungimirante inteso ad affrontarne le cause più profonde delle crisi che, come abbiamo detto, non dipendono solo dall’instabilità e dai conflitti in corso, in ogni caso difficili da arginare nel breve periodo”, risponde.

Sembra dunque necessario rilanciare politiche coordinate di de-escalation delle tensioni al fine di rafforzare la cooperazione multilaterale trans-mediterranea e predisporre strumenti e azioni utili di governance economica ed energetica sub-regionale che possano garantire mutui vantaggi per tutti gli attori in campo, disinnescando la condizione perdurante di tensione.

Per Melcangi, “l’Italia, nello specifico, sulla scorta della tradizione di rapporti politici, economici ma anche culturali e solidali storicamente molto forti con la sponda sud, può e deve rafforzare la sua alleanza con i partner storici, Stati Uniti in primis. L’Italia in particolare deve giocare un ruolo da protagonista agendo su più livelli, da quello politico ufficiale, a quello economico, a volano culturale e della cooperazione in un’ottica che concili la visione europea e euroatlantica con le visioni dei paesi della sponda sud. Quindi diventare un ponte che possa realizzare un engagement attivo e rafforzare il dialogo e i progetti comuni attraverso una strategia di diplomazia bi e multilaterale”.

Ovviamente per questo serve realismo: come dimostrato dalla decennale crisi in Libia, l’Italia come tutta l’Europa sembra avere margini di azione limitati. Ma può e deve comunque scendere in campo investendo nel Mediterraneo? “Sì, ed è un elemento che emerge con estrema urgenza adesso soprattutto per la partita energetica. Le questioni aperte nel Mediterraneo Orientale possono rappresentare un volano di crescita e diversificazione energetica in cui l’Italia e l’Europa, puntando nuovamente per esempio sull’Eastmed o sostenendo il processo di rapprochement in atto fra Turchia, Egitto e Monarchie arabe del Golfo. Insomma, se voglia renderci indipendenti dalla Russia e creare un consenso più grande, risolvere le crisi vuol dire vederle nella loro complessità, non analizzare file per file, ma riuscire ad avere un quadro più grande”, conclude Melcangi.

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