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C’è un alto rischio di infiltrazioni nelle università britanniche da parte di Stati esteri, sospettati di voler “minare la sicurezza nazionale”. In particolare, nel mirino ci sono le ricerche accademiche più avanzate nel settore della difesa dai cyber-attacchi. A spiegarlo durante un briefing con 24 vicerettori degli atenei britannici aderenti al Russell Group, che riunisce le università che ricevono in totale oltre due terzi dei finanziamenti alla ricerca nel Regno Unito, è stato Ken McCallum, direttore generale dell’MI5, il servizio di controspionaggio. Un simile allarme era stato lanciato nelle scorse settimane da Mike Casey, direttore del National Counterintelligence and Security Center, la struttura che si occupa del controspionaggio nella comunità d’intelligence degli Stati Uniti.

McCallum non ha citato pubblicamente alcuno specifico Paese ostile, come riporta la Bbc. Ma il tempismo non sembra casuale: proprio ieri sono comparsi di fronte alla Westminster Magistrates Court per un’udienza preliminare due giovani ricercatori, Christopher Cash e Christopher Berry, il primo ex assistente parlamentare, incriminati in settimana per presunto spionaggio a favore della Cina.

L’iniziativa è stata promossa dal governo britannico, che chiede maggior cooperazione con le università e maggiori controlli sull’allocazione di fondi pubblici a progetti e istituti vari. “Il nostro obiettivo” è “affrontare in modo bilanciato minacce che sono in evoluzione, proteggendo al contempo l’integrità e la sicurezza delle nostre grandi istituzioni” accademiche, ha detto il vicepremier Oliver Dowden, che sta lavorando a una serie di misure in materia.

“Era prevedibile” trattandosi di “un pericolo reale”, spiega il professor Antonio Teti, autore di “China Intelligence. Tecniche, strumenti e metodologie di spionaggio e controspionaggio della Repubblica Popolare Cinese” (edito da Rubbettino e presentato in Senato la scorsa settimana). Parlando delle attività di spionaggio da parte di Paesi esteri nelle università italiane e di altri Paesi occidentali, aggiunge: “Il concetto di internazionalizzazione dei percorsi di studio universitari tende a valorizzare, anche in termini economici, le università italiane che accolgono studenti stranieri. Ciò può rappresentare un valore per la ricerca, ma è opportuno, anzi necessario, condurre un’attività di controllo sugli studenti stranieri che accedono ad università, centri di ricerca e aziende operanti nei settori delle tecnologie avanzate, soprattutto se provengono da Paesi ‘critici’”.

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