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Nel suo discorso allo Shangri-La Dialogue di Singapore, Lloyd Austin ha aspettato quasi 30 minuti prima di citare la Cina. Poi l’affondo: Pechino sta adottando un approccio più “coercitivo e aggressivo” per spingere le rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale e Orientale. Parole pronunciate dal segretario alla Difesa statunitense poche ore dopo l’incontro di poco meno di un’ora con l’omologo cinese, Wei Fenghe (che è omologo soltanto in termini di protocollo, come raccontato su Formiche.net)

I due hanno discusso diversi temi, tra cui l’invasione russa dell’Ucraina e i programmi missilistici e nucleare della Corea del Nord, come emerge dal resoconto del Pentagono. Ma l’obiettivo al centro dell’incontro era dare seguito all’impegno assunto dai presidenti Joe Biden e Xi Jinping durante il colloquio telefonico di marzo: mantenere aperte le linee di comunicazione, per gestire la competizione tra i nostri due Paesi”. Infatti, “nel breve e medio termine è molto più probabile che un conflitto a Taiwan si verifichi per caso che per volontà”, si legge in un rapporto pubblicato in occasione del forum di Singapore dall’International Institute for Strategic Studies, un centro studi britannico. “In effetti, con l’intensificarsi della coercizione cinese su Taiwan, il rischio di un’escalation involontaria sta aumentando”.

Ecco perché il segretario Austin “ha parlato della necessità di gestire responsabilmente la concorrenza e di mantenere aperte le linee di comunicazione” e ha “sottolineato l’importanza che l’Esercito popolare di liberazione si impegni in un dialogo concreto per migliorare le comunicazioni di crisi e ridurre il rischio strategico”, come recita la nota della Difesa americana.

C’è un tema su cui Stati Uniti e Cina si parlano ma non trovano punto di contatto: Taiwan. Le parole di Austin all’evento lo evidenziano. “Abbiamo assistito a un costante aumento delle attività militari provocatorie e destabilizzanti nei pressi di Taiwan”, ha detto notando poi che negli ultimi mesi gli aerei militari cinesi hanno volato vicino all’isola in “numero record”, “quasi su base giornaliera”. La politica statunitense su Taiwan, ha detto con riferimento alla recente non-gaffe del presidente Biden, “non è cambiata. Ma sfortunatamente, questo non sembra essere vero per la Repubblica popolare cinese”.

Per Pechino, invece, è colpa di Washington. Utilizzando una retorica simile a quella adottata dalla Russia sull’Ucraina, il ministero della Difesa cinese ha dichiarato nel resoconto del colloquio che vendere armi a Taiwan “danneggia gravemente la sovranità e gli interessi di sicurezza della Cina”. “Usare Taiwan per contenere la Cina non avrà mai successo”, ha detto il generale Wei, secondo il riassunto ufficiale.

In un discorso di ampio respiro, in cui ha definito l’Indo-Pacifico come “teatro prioritario” e “centro di gravità strategica” per Washington, Austin ha detto che gli Stati Uniti saranno al fianco dei loro amici nella regione per “difendere i loro diritti”. Non sostengono l’indipendenza di Taiwan ma sostengono “fermamente il principio che le differenze tra le due sponde dello Stretto devono essere risolte con mezzi pacifici”. Poi ha aggiunto che gli Stati Uniti non vogliono una nuova guerra fredda, una “Nato asiatica” o una regione divisa in blocchi ostili. Ma ha anche avvertito Pechino che il mantenimento della pace e della stabilità nello Stretto di Taiwan non è solo un interesse degli Stati Uniti, ma “una questione di interesse internazionale”.

E proprio qui sta il nocciolo della questione. Per Washington la sicurezza della regione e la stabilità a Taiwan è una questione di interesse internazionale. Per Pechino, che ritiene l’isola una provincia ribelle, è una questione interna in cui nessuno dovrebbe intervenire. Due posizioni opposte che impongono la necessità di mantenere aperti i canali di comunicazione.

La Cina è cambiata su Taiwan, gli Usa no. Le parole di Austin

Abbiamo assistito a un costante aumento delle attività militari provocatorie e destabilizzanti”, ha detto il capo del Pentagono dopo il bilaterale con la Cina. Le posizioni opposte sullo Stretto impongono alle due superpotenze l’impegno di mantenere canali di comunicazione aperti. Anche perché, spiega l’IISS, un conflitto potrebbe verificarsi per incidente più che per pianificazione

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