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Per il nuovo governo italiano sarà fondamentale rientrare quanto prima nel dossier libico, che sta acquisendo un ulteriore livello di complicazione anche a causa della partita che la Turchia ha dimostrato di voler (continuare a) giocare.

L’accordo recentemente raggiunto con il governo del primo ministro Abdulhamid Dabaiba per lo sfruttamento delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale, basato sul MoU Tripoli-Ankara del 2019, rappresenta infatti la determinazione con cui il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, intende ancora tenere attivo il suo ruolo nel Paese.

Un ruolo che egli sovrappone ai propri interessi nel Mediterraneo, dove le questioni energetiche assumono un valore di rilievo (anche se non esclusivo) e dove Ankara rappresenta una componente certamente non ignorabile.

Questo momento critico – in cui lo scombussolamento del mercato delle commodities energetiche creato dall’invasione russa dell’Ucraina ha portato a riposizionamenti anche di carattere politico, per tagliare Mosca dalla catena di approvvigionamenti – l’Italia ha bisogno di un dialogo profondo con la Libia.

Questo però, mentre la Turchia si rafforza in Tripolitania, significa che Roma deve crearsi una forma di interlocuzione ancora più efficace, nonostante il quadro libico generale sia piuttosto caotico.

Vale la pena ricordare infatti che Dabaiba rappresenta solo una parte del Paese, che continua a essere diviso e che vede nuovamente la presenza di due forme di esecutivo; quella di Tripoli il cui mandato onusiano è ormai scaduto e che è rimasto privo della fiducia parlamentare; e quella che non riesce a insediarsi a Tripoli – nonostante dotata dell’assenso parlamentare.

Aguila Saleh, presidente della Camera dei Rappresentanti che dal 2014 fa sede a Tobruk, e Fathi Bashagha, capo del governo alternativo sostenuto dal parlamento, hanno respinto l’accordo del 3 ottobre come nullo, così come ha fatto l’Alto Consiglio di Stato (altro organo transizionale).

Questa divisione – rappresentativa di un clima in esasperazione da mesi – appare incolmabile al momento se non con una soluzione alternativa, una mossa per risolvere l’impasse spinta dalla Comunità internazionale, su cui l’Italia ha interessi di muoversi.

La soluzione di un governo terzo, costruito su una ritrovata fiducia intra-libica, sotto l’obiettivo di stabilizzazione ed elezioni, potrebbe garantire a Roma un interlocutore con cui avere un dialogo privilegiato, rompendo vecchie logiche che si stanno aggrovigliando.

Ma questa forma di uscita dallo stallo istituzionale potrebbe essere utile soprattutto per la Libia, che potrebbe ritrovare una forma di speranza per un futuro stabile e prospero. E in generale per la stabilità del Mediterraneo, delle sue dinamiche e della sua evoluzione geopolitica – che ha ritrovato, anche per via della guerra russa, una nuova centralità.

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