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Al centro della nostra galassia c’è un gigantesco oggetto celeste il cui campo gravitazionale risucchia qualsiasi cosa giunga nelle sue vicinanze. È un buco nero, chiamato Sagittarius A*, la cui massa è circa quattro milioni di volte più grande di quella del Sole. Attorno a lui ruotano tutte le stelle della Via Lattea, compresa la nostra (con la terra al seguito). Fino ad oggi solamente ipotizzato, data la difficoltà intrinseca di osservare un oggetto che inghiotte anche la luce, i dati raccolti hanno permesso non solo di dimostrarne l’esistenza, ma anche di produrne un’immagine. Ad Airpress, spiega la sensazionalità del risultato l’astrofisica italiana Mariafelicia De Laurentis, ricercatrice dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), professoressa di Astronomia e astrofisica all’università Federico II di Napoli e Deputy project scientist dell’Event horizon telescope (Eht), la collaborazione internazionale autrice della storica fotografia.

Nel 2019 l’Event horizon telescope era riuscito a catturare la fotografia di M87*, il buco nero al centro della galassia Virgo A, dimostrando per la prima volta l’esistenza di questi oggetti celesti. Oggi, la foto di Sagittarius A* al centro della nostra galassia, finora solo ipotizzato. Cosa significa questa scoperta?

I nostri risultati da queste nuove misurazioni di Sagittarius A* (Sgr A*) forniscono un’ulteriore evidenza che i buchi neri astrofisici, indipendentemente dalla loro massa, sono descritti dalle soluzioni della teoria di Einstein. I due buchi neri appaiono, infatti, straordinariamente simili, nonostante risiedano in due tipi completamente diversi di galassie e abbiano proprietà fisiche e astrofisiche molto diverse. Sgr A* è infatti 1500 volte più piccolo e meno massiccio rispetto a quello di M87*. Per cui per noi la cosa più strabiliante è che la regione vicino al bordo di questi buchi neri, che chiamiamo “orizzonte degli eventi”, sia così simile in entrambi gli oggetti.

In termini prosaici, ci può spiegare cos’è un buco nero?

Un buco nero è una regione dello spazio-tempo in cui il campo gravitazionale è così forte che qualsiasi cosa giunga nelle sue vicinanze viene attratta e catturata senza possibilità di sfuggire all’esterno. La superficie limite che delimita la regione di non ritorno è chiamata “orizzonte degli eventi”.

Cosa mostra l’immagine di Sagittarius A*?

Nell’immagine vediamo una regione centrale scura, chiamata “ombra” del buco nero, circondata da una struttura brillante a forma di anello. Quest’ultima, fondamentalmente, è del gas e del materiale che, ruotando intorno al buco nero, si surriscalda, emettendo una radiazione che può essere osservata dalla nostra strumentazione.

Perché è stato importante andare a “caccia” di questi buchi neri?

Il risultato più originale è che per la prima volta possiamo testare la relatività generale di Einstein direttamente al bordo di un buco nero, in un regime di campo forte mai testato prima, alla frontiera ultima costituita, appunto, dall’orizzonte degli eventi. Inoltre siccome Sgr A* ha una massa intermedia tra M87* e quelle stellari, se volessimo combinare i risultati raggiunti dall’Event horizon telescope (Eht) con la rilevazione delle onde gravitazionali da coppie di buchi neri di massa stellare, come quelle pubblicate dagli osservatori astronomici Ligo e Virgo negli ultimi anni, tutte queste osservazioni combinate fornirebbero un importante supporto alla tesi secondo la quale lo spazio-tempo esterno di tutti i buchi neri è descritto da soluzioni della relatività generale, indipendentemente dalla loro massa. Si tratta, dunque, di una conferma della validità della soluzione di Kerr, che descrive un buco nero rotante.

Dal punto di vista tecnico, come si “fotografano” questi oggetti così estremi?

Le osservazioni dell’Event horizon telescope sono state possibili grazie a una tecnica nota come Very-long-baseline interferometry (Vlbi) o “interferometria radio a lunga distanza”, che sincronizza, con orologi atomici, le strutture dei telescopi in tutto il mondo e sfrutta la rotazione del nostro pianeta per andare a creare un enorme osservatorio. Questo perché quanto è più grande il disco di un telescopio, tanto maggiore è il contrasto dell’immagine. Dunque, è come se se ne fosse costruito uno di dimensioni pari a quelle della Terra, in grado di osservare a una lunghezza d’onda di 1,3 millimetri, corrispondente a una frequenza di circa 230 gigahertz. La tecnica Vlbi ci ha permesso di raggiungere una risoluzione angolare di 20 micro secondi d’arco.

Come si è arrivati, dai dati, all’immagine?

Ognuno dei telescopi coinvolti nella misura ha prodotto enormi quantità di dati, circa 350 terabyte al giorno, che sono stati archiviati su dischi rigidi a elio ad alte prestazioni. Questi dati sono stati trasferiti a supercomputer altamente specializzati (noti come correlatori) al Max Planck Institute for radio astronomy e all’Haystack Observatory del Massachusetts institute of technology (Mit) per essere combinati. Sono stati poi faticosamente convertiti in un’immagine utilizzando nuovi strumenti computazionali sviluppati dalla collaborazione.

Quali sono gli obiettivi futuri della ricerca? e sui buchi neri in generale?

Abbiamo iniziato ad ampliare la rete di radiotelescopi e questo ci consentirà di avere una migliore risoluzione e quindi vedere con maggiore precisione le sorgenti. Oltre ad utilizzare radio telescopi già esistenti inizieremo a costruirne di nuovi e inoltre, stiamo anche pensando ad una rete di radiotelescopi formata da satelliti in orbita attorno alla Terra, capaci di restituire immagini cinque volte più nitide. Intanto, sono in corso di analisi le osservazioni fatte nel 2018 e nel 2021. Naturalmente, nel 2022 sono in corso nuove osservazioni, in aggiunta al set di dati già disponibili. Inoltre, stiamo pianificando nuove osservazioni nei prossimi anni. Le nostre capacità di osservazione sono notevolmente migliorate dal 2017 a oggi, e abbiamo grandi aspettative per ciò che troveremo in questi dati.

Continueranno le osservazioni sui due centri galattici?

Sgr A* e M87* rimangono i nostri obiettivi più importanti. Oltre a studiarne i campi magnetici circostanti, uno dei prossimi grandi obiettivi scientifici è quello di comprendere come essi cambiano ed evolvono nel tempo. Le ripetute osservazioni di Sgr A* e M87* sono fondamentali per dimostrare che le loro caratteristiche primarie rimangono costanti nel tempo, come previsto dalla relatività generale. Le differenze osservate nel tempo possono fornire indizi importanti sulla natura dei dischi di accrescimento e dei getti relativistici. Prevediamo anche di produrre le prime immagini della magnetosfera che circonda Sgr A* da questi dati.

E oltre ai buchi neri?

Stiamo cercando pulsar in orbita attorno a Sgr A* utilizzando dati dell’Eht, particolarmente sensibili alle stelle di neutroni che pulsano rapidamente nel Centro galattico, grazie alla sua elevata sensibilità, al millimetro delle lunghezze d’onda. Una pulsar in un’orbita di breve periodo fornirebbe alcune delle prove più forti della relatività.

Foto: EHT Collaboration

Intervista a Mariafelicia De Laurentis, l’italiana che fotografa i buchi neri

Scattata la prima fotografia di Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia. A catturare l’immagine l’Event horizon telescope, un progetto internazionale che ha coinvolto diversi telescopi in tutto il mondo. A raccontare ad Airpress l’importanza del risultato, l’astrofisica italiana Mariafelicia De Laurentis, tra le protagoniste di questa avventura ai limiti della fantascienza

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