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Prima le buone notizie: l’Italia è sulla mappa. Da Washington il messaggio è arrivato chiaro e tondo. Citofonare al Copasir, il comitato parlamentare di controllo dell’intelligence di ritorno da una missione di quattro giorni negli States per saggiare il polso della politica e dei Servizi americani.

Il tutto attraverso una serie di incontri istituzionali della delegazione guidata dal presidente Adolfo Urso. Tra gli altri, un passaggio al Pentagono, con il sottosegretario alla Difesa con delega all’intelligence Ronald Moultrie e il direttore per l’Europa Ilan Goldenberg, alla Casa Bianca un faccia a faccia con John Christopher Inglis, direttore nazionale per il ciberspazio.

Il primo segnale sulla guerra russa in Ucraina: l’amministrazione Biden apprezza l’attivismo del governo guidato da Mario Draghi nel tentativo di compattare il risiko europeo. Di questo ritrovato protagonismo è segno il viaggio a Kiev del presidente del Consiglio con Emmanuel Macron ed Olaf Scholz. Ma anche il ritorno dell’Italia nel formato Quint con Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti, da cui era assente da tempo. Dopo anni di saliscendi lo Stivale torna centrale nelle geometrie euroatlantiche.

Con i riflettori accesi, però, torna anche la necessità di un’agenda di politica estera allineata tra alleati. Per questo a Washington – durante gli incontri con le autorità politiche e i vertici degli 007 ma soprattutto con i rispettivi comitati di intelligence di Camera e Senato – è stato chiarito cosa prevede il menu della sicurezza nazionale americana. Nonostante la guerra russa in Ucraina in corso e l’immane sforzo degli Stati Uniti per sostenere Kiev – l’ultimo pacchetto di aiuti stanziato dal Congresso vale un miliardo di dollari – in cima alle priorità rimane la Cina e la sua sfida per l’egemonia tecnologica ed economica. Lo ribadirà la nuova Strategia per la difesa nazionale americana dell’attuale amministrazione, in fase di riscrittura per tener conto della minaccia russa in Europa: l’Indo-Pacifico e la corsa alla supremazia tech con la Cina sono e restano la stella polare dell’azione di governo negli Usa.

L’Italia, da parte sua, vuole dare un contributo. Difficile farlo sul piano militare perché, fatta eccezione per la Francia e in minor misura la Germania, non c’è un solo Paese europeo in grado di dare manforte alla flotta di Stati Uniti e alleati nel quadrante Pacifico. Altro conto è sul piano di intelligence. Con questa chiave il comitato di Palazzo San Macuto ha sollevato il tema dei Five Eyes, l’alleanza di condivisione di intelligence tra Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Da mesi si discute tra alleati di un possibile allargamento. In lista d’attesa, fra gli altri, c’è il Giappone, diventato ormai un perno prezioso dell’asse atlantico nel contenimento dell’aggressività cinese in Asia e Oceania e, in seconda misura, nella campagna di pressione contro la Russia di Vladimir Putin, che Tokyo ha abbracciato fin dall’inizio dell’invasione in Ucraina. Seguono Corea, India, Germania.

Per l’Italia, questo il messaggio del Copasir, è un’ambizione reale, che confermerebbe il Paese come snodo centrale dell’Alleanza atlantica. Il dossier è al Congresso, che dovrà decidere nei prossimi mesi un eventuale allargamento. Certo, lo sanno gli addetti ai lavori, per rientrare tra gli “occhi” dell’intelligence Usa bisogna prima fare i compiti a casa. L’Italia, ad esempio, non ha ancora messo al bando dal mercato della rete 5G aziende cinesi come Huawei e Zte che gli Stati Uniti accusano di spionaggio. Nonostante il rafforzamento e l’estensione del golden power – modello che suscita interesse dalle parti del Cfius, il comitato americano di screening degli investimenti esteri che ha accolto il Copasir in visita – manca una decisione politica, peraltro esplicitamente richiesta dal comitato di controllo italiano in un rapporto del dicembre 2019.

China first, ma non solo. Nel tour americano è stato centrale e onnipresente il tema della disinformazione, specie quella russa. Il Copasir, reduce dal polverone dei presunti “dossieraggi” dopo la lista dei putiniani italiani pubblicata dal Corriere della Sera, ha potuto dare uno sguardo ravvicinato al modello Usa. Combattere le fake senza scadere nella caccia alle streghe si può. Se il board contro la disinformazione inaugurato nel Dipartimento degli Affari interni in primavera e mai decollato ha mostrato i suoi limiti, non mancano esempi virtuosi.

Nel Dipartimento di Stato Usa – dove il Copasir ha incontrato il prossimo chargé d’affaires dell’Ambasciata Usa a Roma, Shawn Crowley (qui un suo ritratto)– è al lavoro il Global Engagement Centre, struttura lanciata dall’amministrazione Obama. Inizialmente concentrata sulla propaganda dell’Isis e delle cellule terroristiche, negli anni si è specializzata nel contrasto alla disinformazione pilotata da Stati autoritari come Cina, Russia, Iran. E nei suoi dossier, non a caso, il nome dell’Italia ha iniziato a fare capolino sempre più spesso.

Un contributo chiave, poi, arriva dal mondo dei think tank, tappa centrale nell’agenda americana del Copasir, che ha avuto incontri con i più importanti pensatoi di Washington DC, dal German Marshall Fund (Gmf) all’American Enterprise Institute (Aei) fino al Center for American Progress (Cap). Strutture che, spiega una nota del comitato, “svolgono un ruolo fondamentale nella formazione di consapevolezza e resilienza nell’opinione pubblica rispetto alle grandi sfide globali che il mondo occidentale fronteggia”.

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