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Poco meno di due trilioni di dollari. È questa la stima del valore complessivo delle criptovalute all’inizio di marzo del 2022. Nemmeno tanto, se si considera che ad agosto dello scorso anno era stata raggiunta la quota di circa 3 trilioni di dollari. Ma si sa, la stabilità non è il loro forte, non essendo emesse e regolamentate da uno Stato o da una banca centrale.

Sono asset speculativi, la cui volatilità è influenzata da vari fattori, quali l’andamento di domanda e offerta, il ciclo estrazione delle monete (ciclo di halving), l’impatto ambientale legato a meccanismi di consenso particolarmente energivori e, non ultime, le politiche commerciali.

È stimato che, ad oggi, coesistano circa 18mila criptovalute, anche se solo poche di esse raggiungono capitalizzazioni consistenti e ampia diffusione (Bitcoin in primis, ma anche Ethereum, Ripple XRP, Litecoin, eccetera). Un far west proliferato in modo disordinato, che oggi più che mai necessita di intervento normativo sia per tutelare gli investitori, sia per disciplinare eventuali abusi in uno scenario geopolitico complesso.

Già un anno fa Banca d’Italia e Consob hanno fatto presente che, in assenza di un quadro regolamentare di riferimento, l’operatività in cripto-attività presenta per gli investitori rischi di diversa natura quali: poche informazioni sulle modalità con le quali si determinano i prezzi; la volatilità delle quotazioni; la complessità delle tecnologie sottostanti; l’assenza di tutele legali e contrattuali e di obblighi informativi da parte degli operatori.

Nelle ultime settimane il tema è divenuto ancor più attuale con l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa: l’imposizione delle sanzioni da parte di vari governi potrebbe essere in parte aggirata attraverso pagamenti effettuati con moneta virtuale, come nel recente passato è avvenuto in analoghe situazioni di embargo. Tutela degli investitori e tracciabilità dei pagamenti hanno spinto Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea (Bce), a sollecitare il legislatore europeo ad accelerare l’implementazione del regolamento Mica (Markets in crypto assets, Com 2020/265), la cui bozza è stata pubblicata nel settembre 2020 e che come obiettivo ha proprio quello di disciplinare le criptovalute:

“Ogni qual volta c’è un divieto, una messa al bando, o un meccanismo in atto per boicottare o proibire, vi saranno sempre maniere criminali per aggirare tali divieti. È di fondamentale importanza che il Mica venga approvato il più rapidamente possibile, in modo da avere un quadro normativo all’interno del quale i crypto-asset possano essere tracciati”. Regolamentare le valute digitali è sicuramente un passaggio essenziale, ma con gli attuali scenari geopolitici non è sufficiente: i governi non possono limitarsi ad arbitrare la partita, devono scendere in campo e digitalizzare la propria valuta.

La Cina lo ha già fatto introducendo lo yuan digitale. Biden ha emesso nelle scorse settimane un ordine esecutivo per regolamentare le criptovalute e valutare l’introduzione di un dollaro digitale, senza necessariamente mettere al bando le valute esistenti. La Bce ha già avviato un progetto di euro digitale nell’ottobre 2021. Si tratta di una sfida epocale che non può essere in alcun modo rimandata, perché avrà un impatto politico, economico e sociale di portata vastissima, ben riassunto nelle parole di Panetta, membro del comitato esecutivo della Bce:

“Un euro digitale ridurrebbe il rischio che il funzionamento e il grado di concorrenza del sistema dei pagamenti europeo siano alterati dal ruolo preponderante di strumenti di pagamento digitali gestiti da soggetti esteri e big tech in grado di sfruttare ampie economie di scala e forti vantaggi informativi. Per preservare la nostra sovranità monetaria e il grado di apertura e concorrenza del mercato dei pagamenti dobbiamo intervenire ora”.

Vi racconto il far west delle valute digitali

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Regolamentare le valute digitali è un passaggio essenziale, ma con gli attuali scenari non è sufficiente: i governi devono scendere in campo e digitalizzare la propria valuta. L’analisi di Marco Fazzini, professore di Economia aziendale presso l’Università Europea di Roma

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