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Questa serie racconta gli albori e lo sviluppo della censura digitale russa. Leggi la prima, la seconda, la terza e la quarta parte de “La nuova cortina di ferro”.

Nel 2009, Google ha deciso che voleva diventare l’azienda leader in Russia.

Al tempo la stella tecnologica locale Yandex dominava il mercato dei motori di ricerca. Si era mossa più velocemente, portando mappe e altre funzionalità ai russi molto prima del gigante della Silicon Valley. Così, pensarono a Google, se miglioriamo la nostra offerta russa possiamo sconfiggere Yandex.

Assunsero ingegneri russi, aggiunsero contenuti locali, firmarono un accordo con il social network locale Mail.ru. Ma lo sforzo si rivelò infruttuoso. La partnership con Mail.ru fallì per via della pressione politica. Ben presto divenne chiaro che Google poteva rimanere un numero due rilevante nel mercato russo dei motori di ricerca, ma non avrebbe mai potuto diventare il numero uno.

Fu l’annessione russa della Crimea nel 2014 a sconvolgere questo accordo. Oltre a inviare truppe nel territorio ucraino, il Cremlino aveva lanciato un’offensiva contro le piattaforme della Silicon Valley.

Il 16 maggio 2014 Maxim Ksenzov, un portavoce di Roskomnadzor (l’ente regolatore di internet, ndr) attaccò Twitter in un’intervista a Izvestia, il più grande quotidiano filo-Cremlino. “Domani potremmo bloccare Twitter o Facebook in Russia”, disse, “ci vorrebbero pochi minuti. Non lo vediamo come un grande rischio”.

Ma Roskomnador non agì subito. Il primo ministro Dmitry Medvedev si oppose a una chiusura completa di Twitter. Come alternativa, a partire dal 2014, il Cremlino sperimentò diverse tattiche per cercare di forzare le piattaforme globali a collaborare.

Il 4 luglio 2014 la Duma approvò una legge che avrebbe vietato l’archiviazione dei dati personali russi al di fuori della Russia. Le piattaforme globali sarebbero state obbligate a trasferire i loro server in Russia entro l’1 settembre 2015. Ma Google, Twitter e Facebook inviarono rappresentanti di alto livello a Mosca. Anche se i dettagli dei loro colloqui sono stati tenuti segreti, il trio riuscì a sabotare silenziosamente la legge. I tribunali russi distribuirono multe per le contravvenzioni, ma erano troppo piccole per forzare un cambiamento.

Dopodichè il Cremlino continuò ad aumentare la pressione. Delle tre piattaforme, Google fu quella che si scottò di più. Evgeny Prigozhin, un uomo d’affari vicino al Cremlino, assuse agenti di sicurezza privata per spiare il direttore russo degli affari governativi, Marina Zhunich. Una causa antitrust prese di mira il sistema operativo per cellulari Android, di proprietà di Google, che dominava il mercato russo. Fu risolta solo dopo che Google accettò di sostituire il proprio motore di ricerca con Yandex su tutti i dispositivi mobili russi.

Poi toccò a Twitter. A marzo 2021 Roskomnadzor rallentò il traffico dati verso il servizio e chiese a Twitter di togliere i contenuti che il Cremlino considerava “dannosi”, in particolare i post che invitavano i bambini a partecipare alle manifestazioni pro-Navalny. Il rallentamento colpì ogni telefono cellulare russo e metà dei computer portatili e dei tablet.

Quell’operazione fu tutt’altro che chirurgica. Oltre a Twitter, Roskomnadzor colpì accidentalmente anche il sito del Cremlino assieme ad altri siti governativi.

Le piattaforme occidentali continuarono a resistere. Per esempio, Google rifiutò di cancellare i video pubblicati su YouTube dal leader dell’opposizione Alexey Navalny. Il Cremlino rispose aumentando le multe alle aziende accusate di sfidare i censori, per un totale complessivo di 120 milioni di dollari.

Sotto una pressione del genere, la resistenza della tecnologia occidentale si sgretolò. Quando il traffico di Twitter fu rallentato nel 2021, l’azienda iniziò ad accettare le richieste di rimuovere “contenuti illegali”. Roskomnadzor ha poi annunciato che Twitter ha rispettato il 91% delle sue richieste di rimozione.

Dal canto suo, Apple spense Private Relay, il suo servizio progettato per criptare tutto il traffico in uscita dal dispositivo di un utente, come un iPhone o un iPad, in modo che non possa essere letto se intercettato. L’azienda aveva già interrotto il servizio in altri Paesi autoritari, come l’Arabia Saudita. Era arrivato il turno della Russia.

La Silicon Valley aveva interpretato il rallentamento di Twitter come un segnale: le autorità russe non temevano più un contraccolpo interno per il locco dei siti occidentali.

Mano a mano che aumentava i suoi attacchi alle piattaforme straniere, Roskomnadzor promuoveva sostituzioni locali russe. L’industria tecnologica russa è uno dei settori in più rapida crescita del Paese e beneficia di una delle più grandi comunità di ingegneri al mondo. Per aiutare le imprese tecnologiche locali, i legislatori hanno richiesto la pre-installazione di molte app sviluppate in Russia a partire dal 2019. Yandex e Mail.ru possiedono la maggior parte delle app richieste dal Cremlino, tra cui un browser, un servizio di cloud computing, un’applicazione di mappe, un motore di ricerca, un servizio di messaggistica istantanea e due social network.

L’obiettivo era semplice: quando i russi avessero assistito a qualcosa di straordinario – e avessero deciso di condividere le notizie, i filmati o le immagini online – avrebbero pubblicato su piattaforme russe, sotto lo stretto controllo dei censori del Paese. A partire dal 2017, la maggior parte dei social media e dei servizi online russi sono stati aggiunti al “Registro dei distributori di informazioni” e sono tenuti a fornire l’accesso all’agenzia di intelligence Fsb.

Per le imprese occidentali, la stretta finale è arrivata nel settembre 2020, quando il Cremlino ha chiesto la rimozione della Smart Voting App di Alexei Navalny dagli app store di Apple e Google.  L’app selezionava i candidati con le migliori prospettive di battere i rappresentanti del partito Russia Unita di Putin.

Fu messa in campo un’intimidazione vecchio stile. Gli agenti dell’Fsb visitarono la casa del più alto dirigente di Google a Mosca per consegnare un ultimatum spaventoso: togliere l’app entro 24 ore o finire in prigione, come raccontato dal Washington Post. E nonostante Google avesse spostato la donna in un hotel, gli agenti si presentarono nuovamente nella sua stanza per ripetere il loro avvertimento. In poche ore, l’app Smart Voting era sparita. “Il principale rappresentante di Apple a Mosca ha affrontato una processo altrettanto tormentoso”, scrisse il WaPo.

Dopo aver invaso l’Ucraina, il Cremlino ha bloccato il traffico di Twitter e Facebook. Un procuratore russo ha bollato Meta (Facebook, WhatsApp e Instagram) come un’organizzazione estremista. Secondo tutte le indicazioni, il Cremlino continuerà ad aumentare la pressione sulle piattaforme e siti web stranieri fino a quando non saranno cacciati dalla Russia. Ad oggi, YouTube rimane l’unico grande network della Silicon Valley ancora disponibile.

La censura del Cremlino si è estesa oltre la Silicon Valley. Ha bloccato i media internazionali tra cui ВВС, Deutsche Welle e Radio Liberty, così come i media indipendenti russi tra cui Meduza, Mediazona, Doxa, Echo Moskvy e TV Rain. La lista cresce ogni giorno. Il nostro sito web, Agentura.ru, è stato bloccato il 18 marzo dopo che abbiamo pubblicato una storia sulle epurazioni nell’Fsb sulla scia dei loro fallimenti di intelligence riguardo all’invasione dell’Ucraina.

Questo blocco massiccio ha provocato risultati contrastanti: i russi, indignati dall’introduzione di una censura così totale, si sono affrettati a installare servizi vpn. I tentativi di sostituire le app internazionali con le controparti russe stanno vacillando.

Con il loro apparato di sorveglianza e censura online in difficoltà, le autorità russe si stanno rivolgendo ai mezzi tradizionali per sopprimere le informazioni. Il 4 marzo la Duma ha adottato una nuova legge che rende un reato penale punibile fino a 15 anni di carcere diffondere falsi sulle operazioni militari, screditare le forze armate o sostenere le sanzioni contro la Russia.

Nei tre giorni successivi all’imposizione della legge la polizia ha arrestato 60 persone. La maggior parte erano giornalisti. Terrorizzati, quasi tutti i giornalisti russi indipendenti hanno smesso di coprire la guerra.

La retorica russa sull’internet sovrano rappresenta un tentativo di giustificare la censura a livello nazionale. Nonostante la forte tradizione russa di istruzione tecnica di alta qualità, l’aiuto straniero è stato necessario per costruire l’apparato di sorveglianza e censura della Russia.

La politica occidentale dovrebbe concentrarsi sul miglioramento dei controlli delle esportazioni sulle tecnologie che potrebbero rafforzare questa censura e sorveglianza. Le piattaforme globali guidate da Google, Facebook e Twitter dovrebbero rimanere a disposizione dei russi per condividere notizie e sviluppi politici non censurati. Le potenze occidentali dovrebbero rendere il mantenimento delle piattaforme globali disponibili in Russia una priorità.

Quando è arrivato al potere, Vladimir Putin ha ignorato internet. Dopo aver scoperto il suo potere, ha cercato di controllarlo. Ora, mentre fa la guerra in Ucraina, vuole sopprimerlo. Non deve avere successo.

L’articolo originale in lingua inglese è apparso sul sito del Center for European Policy Analysis (CEPA) con il titolo “The New Iron Curtain Part 5: Russia’s War Against Silicon Valley”.

Andrei Soldatov è nonresident senior fellow del CEPA, un giornalista investigativo russo, ed è cofondatore ed editore di Agentura.ru, un osservatorio sulle attività dei servizi segreti russi. Si occupa di servizi di sicurezza e terrorismo dal 1999.

Irina Borogan è nonresident senior fellow del CEPA, una giornalista investigativa russa, ed è cofondatrice e vicedirettrice di Agentura.ru.

Vladimir Putin internet sovrano

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